Giorni di grazia quelli vissuti nella regione del Sud Sinai.

Si perché sono pochi in questo periodo i pellegrini (ed i turisti) che si recano in Egitto nonostante la penisola sinaitica sia abbastanza sicura; sono ancor meno quelli che hanno la possibilità di vivere una tre giorni spirituale in questi luoghi immergendosi nella vita quotidiana dei beduini, che è un po’ come simulare la quotidianità dei patriarchi;

sono pochissimi inoltre quelli che trovano un amico come Jordi, frate biblista catalano appassionato della route dell’Esodo, che ci fornisce informazioni e contatti dettagliati per concretizzare questa esperienza. Se aggiungiamo che vivere il deserto dei e con i beduini è in pieno “stile” piccoli fratelli sulle orme di fr. Charles, non possiamo che ringraziare con il cuore colmo di riconoscenza il Signore e i fratelli che hanno organizzato e permesso questo viaggio. Vogliate perdonare la lunghezza dell’articolo, ma è già una sintesi della sintesi…

In macchina verso Eilat decidiamo di accompagnare la preghiera di questi giorni attraverso la lettura continua del libro dei Salmi. Giunti in Egitto, alla frontiera di Taba ci aspetta Ramadan, giovane ed esperta guida beduina e partiamo in direzione monastero di Santa Caterina alle falde del Djebel Musa (Sinai). Iniziamo così a conoscere gli Jabaleya (montanari) una delle sette tribù della regione. Gli Jabaleya sono circa settemila e, da quando è nato il monastero (565 d.C. per volere dell’imperatore Giustiniano) questo popolo ha sempre lavorato a stretto contatto con i monaci del Sinai.

L’imperatore inviò a protezione del monastero appena costruito cento famiglie cristiane dalla Romania ed altre cento da Alessandria d’Egitto: sono questi gli antenati della tribù. Anche se con l’arrivo di Maometto tutti si convertirono all’Islam, i rapporti con i monaci cristiani continuarono ad essere di amicizia e reciproca dipendenza, grazie anche ad un editto dello stesso Maometto che aveva ricevuto ospitalità in questo luogo. Suleiman, guida beduina del monastero, ci confida che per loro il monastero è il cuore e la tribù il corpo: bisogna prendersi cura del cuore affinché tutto il corpo sia forte ed in salute.

Il mattino seguente partiamo poco dopo l’alba per il nostro cammino (fisico e spirituale!), dobbiamo purtroppo separarci da Paolo che non si sente bene. Iniziamo quindi la famosa salita attraverso i circa 4000 gradini che puntano dritti alla cima del Sinai seguendo un’altra guida, Hussein: San Giovanni Climaco prese spunto da questi gradini per la celebre opera “Scala del Paradiso”. Come scrisse Pia Compagnoni, ogni passo in avanti sembra un Kyrie eleison lanciato verso il cielo…ma non arriviamo in cima: giunti alla piana che ricorda il luogo dove il profeta Elia sostò dopo esser fuggito da Israele e dove incontrò il Signore nella brezza leggera (1 Re 19, 1-14) voltiamo in direzione Ras Safsaf e, con non poca fatica, ne raggiungiamo la vetta. Qui la tradizione ritiene che Mosè abbia mostrato le tavole della Legge al popolo radunato al di sotto, nell’esteso altopiano desertico del Wadi Raha.

Nel pomeriggio affrontiamo gli ultimi 750 scalini che ci separano dalla cima del monte Sinai. Che siano questi i luoghi reali dell’incontro con Dio di Mosè oppure no, è certo che i due elementi del paesaggio e del silenzio, un silenzio così totale che “urla”, invitano a raccogliersi immediatamente in preghiera ed in ascolto della Sua Parola…possiamo goderci una buona ora di orazione e di condivisione della Parola grazie anche a degli scritti portati da Franklin.

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