Continua la nostra salita a Gerusalemme attraverso la Samaria.

Lasciamo alle spalle Sebastya e scendiamo a riprendere la “60”. Dopo appena dieci chilometri siamo tra gli alti palazzi di Nablus che, oltre a ricoprire la stretta valle tra i monti Ebal e Garizim, ormai raggiungono anche la cima ovest, più bassa, di quest’ultimo.



Nablus oggi conta circa ottantamila abitanti e fu fondata, come abbiamo già detto, da Tito nel 72 d.C. presso i resti dell’antica Sichem, dandogli il nome di “Flavia Neapolis”.

Dopo aver girovagato nel cuore di questa città vivace e laboriosa ci rechiamo alla sua periferia est, presso il “Tel al Balata” sito archeologico della città. “Balata” probabilmente deriva dall’arabo “ballut”, “quercia” e richiama la “quercia di More” della storia di Abramo.

Fermi davanti a questo sito archeologico, riportato alla luce con varie campagne datate 1913, 1926-28, 1932-34, 1956-57, 1962-66, ascoltiamo con grande interesse la sintesi della lunga storia di Sichem – Flavia Neapolis – Nablus.

Innanzitutto alcuni frammenti di ceramiche qui ritrovati risalgono all’epoca calcolitica e a quella del bronzo antico (4000-2000 a.C.). Mentre il nome Sichem (Skmn) appare per la prima volta in un documento della XII dinastia egizia (1991-1780 a.C.). .

Ed eccoci alla storia biblica: «il Signore disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Allora Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore e con lui partì Lot […]. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la quercia di Morè […]. Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò questa terra”. Allora Abram costruì in quel luogo un altare el Signore che gli era apparso» (Gen 12,1-7).

Anche suo nipote Giacobbe/Israele, di ritorno dalla Mesopotamia, con le mogli e i figli risalirà dal Giordano lungo la fertile “Valle dei Patriarchi” (Wadi Fari’a) fino a Sichem. Qui compra del terreno, scava un pozzo e pone il suo attendamento, fino a quando i guai procurati dai suoi figli non lo consigliano di spostarsi a Betel (Gen 33,18-35,12).

Sichem acquistò grande importanza durante il periodo degli Hyksos (1700-1600 a.C) come città stato a capo del distretto che andava da Meghiddo a Gerusalemme. In questo periodo fu eretto un ciclopico muro di difesa alto più di cinque metri, con due porte a tenaglia. Di quella est si possono vedere alcuni resti. Ma quando caddero gli Hyksos Sichem fu distrutta e rimase piccola cosa.

Giosuè, dopo la conquista di Gerico e Ai, quando giunse a Sichem non trovò problemi e con tutto il popolo costruì un altare sull’Ebal e vi offrì un olocausto e sacrifici di comunione, poi scrisse sulle pietre una copia della Legge (Gs 8,30-35). Giosuè convocherà ancora tutti gli israeliti a Sichem prima della sua morte per rinnovare il fatto di alleanza con Dio. Il capitolo 24 del libro di Giosuè presenta l’avvenimento in una scenografia impareggiabile.

La Bibbia narra poi di un terzo raduno di Ebrei a Sichem, nel 931 a.C., per eleggere il successore di Salomone. In quell’occasione però si consumò lo scisma tra le dieci tribù del nord, che elessero Geroboamo, e Giuda e Simone che rimasero fedeli alla casa di David confermando Roboamo, figlio di Salomone (1Re 12,1-25).

La scissione purtroppo incoraggiò il faraone Sisak ad attaccare Gerusalemme e a derubare i tesori del tempio. Distrusse quindi SIchem e Geroboamo trasferì la capitale a Tirsa, che vi rimase fino all’850 a.C. quando Omri fondò Samaria.

Sichem riacquistò importanza con i Samaritani che nel 330 costruirono sul Garizim un tempio rivale a quello di Gerusalemme e la scelsero come capitale. E, anche se nel 129 a.C. Giovanni Ircano distrusse questo tempio, il Garizim rimase nel cuore del loro culto, soprattutto per le solennità pasquali.

Al tempo di Gesù Sichem era poco più di un villaggio ma nel Vangelo di Giovanni viene ricordata per un evento che fa scrivere una delle pagine più belle e lancia un messaggero tra i più rivoluzionari: si tratta del dialogo tra Gesù e la donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe (Gv 4,1-42).

Nel 36 d.C. Ponzio Pilato fece una strage di Samaritani che si erano ribellati e arroccati sul Garizim. La cosa si ripeté con un generale di Vespasiano nel 66 d.C.

Nel 72 d.C., come detto, Tito fondò vicino a Sichem “Flavia Neapolis” e i suoi primi abitanti furono dei legionari. Probabilmente da una di queste famiglie nacque, intorno al 110 d.C, una figura illustre del cristianesimo: san Giustino, filosofo e apologista, martirizzato a Roma circa il 165.

Il rapporto dei Samaritani con i cristiani, nonostante l’atteggiamento amichevole di Gesù e la prima accoglienza favorevole al diacono Filippo e a Pietro e Giovanni (At 8,-5-25), fu sempre difficile. Tanto che i ripetuti atti di violenza contro i cristiani spinsero l’imperatore Zenone a proibire il culto samaritano sul Garizim e a costruirvi una chiesa dedicata alla Madre di Dio (Theotokos) nel 484. Quando poi nel 531 i samaritani diedero fuoco a chiese e conventi e uccisero vescovo, preti, religiosi e molti cristiani, Giustiniano li cinse di assedio e si salvarono solo quelli che riuscirono a fuggire oltre il Giordano.

La storia di questa città continua poi sulla falsariga di quella delle altre città della Terra del Santo: la conquista araba, il periodo crociato, il ritorno della dominazione araba e ottomana, fino agli ultimi 100 anni con il dramma israelo-palestinese.

Oggi gli abitanti sono, nella stragrande maggioranza, musulmani. I cristiani, piccola minoranza, si dividono tra cattolici (melchiti e latini) e ortodossi. I Samaritani sono rimasti circa 200.

 

Lasciamo ora il sito archeologico e la storia e ci portiamo subito alla tomba di Giuseppe che è ai piedi del Tel.

Giuseppe, come narra il libro della Genesi, «fece giurare ai figli di Israele Così: “Dio verrà certo a visitarvi e allora  voi porterete via da qui le mie ossa”» (Gen 50,25). Gli israeliti tennero fede al giuramento e il libro di Giosuè lo conferma: «Gli israeliti seppellirono le ossa di Giuseppe, che avevano portato dall’Egitto, a Sichem, in una parte della campagna che Giacobbe aveva acquistato dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d’argento, e che i figli di Giuseppe avevano ricevuto in eredità» (Gs 24,33-34).

L’attuale luogo della tomba corrisponde al testo biblico ed è anche testimoniato da una lunghissima tradizione da tutti accettata. Anche se chiaramente l’edificio attuale fu rifatto verso la fine dell’800 sullo stile dei santuari musulmani, dove è ben visibile il piccolo miḥrab, la nicchia in direzione della Mecca. La custodia del santuario è oggetto di continua contesa, tra arabi e israeliani, come viene confermato anche dai media di questi giorni..

Il pozzo di Giacobbe si trova a circa un chilometro dal Tel e dalla tomba di Giuseppe ed è la meta più ambita dai pellegrini. Il discorso di Gesù sull’acqua viva portò subito la prima comunità cristiana a considerare sacro il pozzo e a usarne l’acqua per il battesimo. Al tempo di san Girolamo (IV secolo) qui esisteva una chiesa, distrutta poi dai Samaritani ma ricostruita da Giustiniano. I crociati vi eressero una basilica a tre navate con annesso convento di benedettini. Il pozzo era nella cripta. I pellegrini che vi passarono nel 1400 testimoniano che nel luogo sorgeva una piccola moschea, mentre quelli del 1600 parlano di un cumulo di rovine e della difficoltà ad avvicinarsi al pozzo.

Alla fine dell’800 il patriarcato ortodosso acquistò il luogo e iniziarono i lavori ma furono presto sospesi per l’avvento della prima guerra mondiale. Si deve alla fede, al coraggio e alla tenacia del monaco ortodosso che oggi custodisce il luogo se possiamo pregare e meditare in un luogo meraviglioso. La grazia più grande però è la sua stessa persona: uomo di Dio, accogliente, dispensatore di pace e di speranza.

 

La vetta del Garizim

Per raggiungere l’ultimo sito archeologico di Sichem bisogna lasciare la città e dirigersi verso Gerusalemme. Dopo un breve tratto si trova, sulla destra, la deviazione per un insediamento di coloni ebrei e per la cima del monte.

Poco prima della cima vi è un avvallamento e alcune abitazioni samaritane. Qui è anche il luogo delle loro celebrazioni pasquali con l’immolazione dell’agnello e delle feste di Pentecoste e dei Tabernacoli. Vi è anche un museo molto interessante. Da qui, grazie ad una lunga scalinata si arriva sulla cima del monte ricoperta da un parco archeologico e grandioso. Dai punti strategici si può ammirare un panorama incantevole sulla Samaria, fino a raggiungere, nei giorni limpidi, il Mediterraneo. Intrattenendosi ad osservare i ruderi viene spontaneo cercare di localizzare il grande tempio samaritano o il tempio di Giove altissimo voluto da Adriano o il perimetro della Chiesa dedicata alla Theotokos, fatta costruire dall’imperatore Zenone a pianta ottagonale. Il problema è che, chi distruggeva usava poi quel materiale per ricostruire. Così oggi è molto difficile distinguere i diversi monumenti o i loro reperti. È più facile individuare il muro rettangolare di Giustiniano e una delle sue cinque torri di fortificazione.

Però, al di là di tutto, da quassù non si vorrebbe più ridiscendere.

fratel Alvaro