Nazaret è da quasi quattro anni la mia città di adozione. Una relativamente grande città che si aggira attorno ai centomila abitanti. All’interno di questo numero si intrecciano culture, religioni, fedi, che sono ancora al centro del dibattito di grande parte del mondo in vista della costruzione di una convivenza possibile. Le tre grandi religioni trovano infatti molte delle loro radici proprio in questa terra.

Nazaret dunque. Quella Nazaret in cui ha avuto luogo uno dei più grandi misteri della religione cristiana: l’Incarnazione. Sì, perché quando si parla dell’Annuncio dell’Angelo a Maria si parla dell’inizio, del principio dell’incarnazione. Questo fatto, che tutti più o meno conoscono, ha nel suo DNA la dinamica e la forza della comunicazione, la dinamica e la forza della parola.

L’esperienza di questa giovane nazaretana ci parla della Parola, in virtù della quale avviene il misterioso concepimento. La Parola concepisce, la Parola è feconda. E poi da Nazaret, al mondo intero.

In tutti i luoghi, sia in questa terra piena di conflitti talvolta sanguinosi, come anche in Europa ed in molti altri paesi, assistiamo in realtà ad una sorta di “crisi” della parola. Le parole non aiutano più a comunicare, spesso perché compongono affermazioni che attestano bugie, e in molti casi perché manca un linguaggio comune, ed è come se si parlassero lingue diverse. Il bene che per alcuni appare chiaramente percepibile e necessariamente perseguibile, per molti altri è inganno e male da rifiutare con determinazione.

Sembra ancora saldamente in piedi quella torre simbolicamente costruita dall’uomo primitivo che fu causa della confusione delle lingue, generando l’originaria incomprensione umana (cfr. Gen 11). Quanto questa dinamica dell’incomprensione e della divisione ci allontani da Dio, ce lo rivela il prologo del Vangelo di Giovanni che afferma con semplicità e schiettezza che “il Verbo [la Parola] era Dio” (Gv 1,1). Ciò significa che Dio parla incessantemente, è comunicazione costante, mai interrotta, nella quale si dona senza sosta e si rivela all’uomo. È l’intuizione che molte nuove forme di religiosità hanno avuto quando affermano che Dio è in tutte le cose. Sì, Dio parla attraverso tutte le cose: attraverso il creato, attraverso i fatti spesso monotoni e ripetitivi della vita, attraverso alcuni canali privilegiati che la creazione e la vita stesse comprendono: la Scrittura, la Chiesa, l’Eucaristia, i poveri, la comunità, la coscienza e il cuore dell’uomo; la morte stessa è parola misteriosa di Dio. Tutti questi “linguaggi” Dio utilizza per raggiungere il cuore dell’uomo, da sempre e per sempre. E all’uomo rivolge un invito: entrare nella dinamica della Parola.

Essa si comunica e si riceve nel silenzio. Il silenzio mette sulla bocca soltanto la parola vera, e lo stesso silenzio consente di ascoltare l’altro: la Parola è voce tra due silenzi, è apertura che lascia entrare e uscire quello che nasce da “dentro” ed il messaggio che proviene da “fuori”. La Parola è rivelazione perché esprime in un linguaggio decifrabile e leggibile il mondo interiore di ogni uomo. La Parola è vita perché quando si partecipa della vita ci si mette in relazione, si fa l’esperienza originaria della partecipazione a quell’unica grande Parola che è la vita stessa.

La Parola è anche cambiamento perché ogni parola pronunciata non lascia mai le cose com’erano: modifica, sé e gli altri e, se è una parola autentica, edifica e non demolisce. Dunque è uno strumento potente che, a seconda di come si pronuncia, può fare tanto bene o produrre un male disastroso.

Viviamo a pieno ritmo nell’era della comunicazione dove ogni messaggio è lecito, qualunque parola è detta. Saremo capaci di ascoltare il silenzio per pronunciare una parola vera, una parola limpida? Quanto è necessario, in tale contesto, un sano discernimento per capire quale parola pronunciare e quale ascoltare; quale comunicazione costruisce e quale distrugge.

In questa dinamica non possiamo rinunciare alla frequentazione della Scrittura che contiene la Parola di Dio, quel luogo sicuro in cui possiamo discernere e riconoscere l’ispirazione di Dio, perché ogni nostra parola possa essere ispirata, non vuota.

Un rapporto costante, quotidiano, con tale strumento allena ad una conoscenza di sé sempre più profonda e critica e aiuta a pronunciare parole sempre più autentiche. La Scrittura stessa attesta con magistrale sapienza la capacità della Parola di penetrare ed arrivare alle zone più profonde del cuore umano: «Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4,12-13). In tal modo la Parola diventa come una bomba innescata che non si può più fermare ed arriva necessariamente al suo scopo, che è esattamente quello di rivelare, di «togliere il velo», e di dire la verità: «Come infatti la pioggia e la neve scendono giù dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 10-11).

È appassionante rintracciare nella Bibbia tutte le affermazioni sulla parola: quella umana e quella divina, per fare il punto sul nostro parlare e comunicare e per assorbire criteri di discernimento affidabili e pronunciare così una parola vera.

fratel Marco