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Nella nostra cappella del Goleto, dietro l’altare, è collocato un dipinto sulla risurrezione: seguendo l’iconografia classica, Cristo con in mano il vessillo della vittoria ma portando nel suo corpo i segni della passione, ascende verso il cielo. Ai suoi piedi le due guardie riposano inconsapevoli di quanto sta avvenendo. È il «Christus Victor» dei Padri della Chiesa, Colui che ha vinto sulla morte e ora è il Vivente!

PIEDIOgni volta, specialmente durante l’adorazione eucaristica, non posso fare a meno di guardare spesso la scena sempre commovente. Il mio pensiero più volte è volato verso l’autore del dipinto: un nostro carissimo amico che ha arricchito le nostre singole fraternità con le sue opere. Ogni artista ha uno stile che sicuramente andrebbe prima studiato e poi compreso, ma qui mi preme condividere che il nostro Autore si è sempre professato un NON credente. Ogni tanto arrivava con la sua “nuova creatura” destinata al luogo che lui stesso aveva individuato. Si trattava di solito di opere varie, tra cui un bellissimo frère Charles custodito nella sala comune a Sassovivo. Mi ricordo ancora che un giorno, molti anni fa, i fratelli gli chiesero di pensare a un Cristo da collocare in una delle nostre cappelle… Non ci promise niente. Passò un bel tempo fino a quando un bel giorno si presentò portando un quadro gigante (diciamo consistente) e fummo tutti colpiti da vedere la scena della crocifissione, con Maria e il discepolo che Gesù amava. Ma di Lui si vedono solo i piedi inchiodati e sanguinanti… «Ecco, fratelli, – ci disse – mi dispiace, ce l’ho messa tutta, ma sento che oltre i piedi del Crocefisso non riesco ad andare».  Tutt’ora non so se sia più bella l’opera oppure la sua spiegazione. So però che la frase mi è rimasta impressa e se prima pensavo a un semplice «tanto di cappello», ora sono sicuro che a persone così si riferiva Gesù quando disse della Cananea: «Nemmeno in Israele ho trovato una fede così grande!» (Lc 7,1-10). Tornando alla risurrezione del Goleto, si tratta di un’opera successiva, ma più fedele alla tradizione. Il Nostro l’ha creato dopo aver visitato l’Abbazia e aver individuato il posto.

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Aiutato dalla liturgia che ieri (domenica XXXII T.O.) ci ha riproposto il tema della risurrezione mi sono ricordato del «Gesù di Charles de Foucauld», un tema che credo sia abbastanza noto. È stato evidenziato che frère Charles chiama sempre Gesù per nome, oppure lo chiama «mio beneamato fratello e Signore», ma non «Cristo» o «Cristo Gesù». In teologia si parla di Titoli cristologici, cioè gli appellativi che i vangeli e la tradizione cristiana hanno attribuito a Gesù. Ce ne sono tantissimi e la maggior parte esprimono già la fede della Chiesa nel Signore risorto: Figlio di Dio, Salvatore, Figlio dell’uomo, il Signore, Gesù Cristo, il Cristo, l’Alfa e l’omega, l’Agnello immolato, ecc. La cosa più interessante è che i vangeli parlano sempre di Gesù di Nazaret adoperando i Titoli cristoligici. Una sola volta Gesù è chiamato per nome: dal ladrone crocifisso accanto a Lui (Lc 23,39-46). Una piccola eccezione è il cieco Bartimeo, ma lo chiama «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47-52). Al «buon ladrone» che lo chiama per nome gli viene promesso il paradiso «oggi stesso».

Chi sa come mai frère Charles si colloca sullo stesso piano del malfattore adoperando il nome »di battesimo» di Gesù: «Gesù, come sei buono», «Gesù, parlami della tua vita a Nazaret»… Forse perché di solito è più facile pensare alla risurrezione rimandando l’appuntamento al dopo la morte e non pensare piuttosto alla risurrezione come la vita in Cristo, «sia che viviamo, sia che moriamo», «se con lui moriamo, con lui anche regneremo»!

 Fratel Oswaldo

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