G. Carlo - Chiarinelli

Come già annunciato, anche in questa Quaresima ci siamo proposti di riprendere i nostri incontri fraterni di riflessione-scambio. Condividiamo volentieri qualche brano dell’intervento del nostro fratello priore circa l’obbedienza in Fraternità, ma è un tema che in qualche modo riguarda tutti e magari ci prepara a vivere intensamente la Pasqua!

Gesù si fece obbediente fino alla morte

Mi sembra che spesso quando si parla di obbedienza si arrivi subito a conclusioni su “piccinerie” e cose pratiche. Ma l’obbedienza è anzitutto un’invenzione di Dio. Il rapporto con Dio passa attraverso l’obbedienza (Adamo è chiamato a obbedire e disobbedendo ha aperto la strada all’intervento di Cristo, l’obbediente, che proprio per la sua obbedienza «è stato esaltato»). Perciò la nostra obbedienza che poi scende anche nelle cose pratiche deve essere vista nel contesto del rapporto con Dio. Dunque anzitutto è necessario l’ascolto: Shemà Israel, è il tema di tutto l’AT.
DSC_0066L’obbedienza è fondamentale nella vita della Trinità e, come sappiamo, Gesù c’è l’ha rivelata: ogni persona della Trinità è in obbedienza reciproca. È perché noi siamo delle creature che prima di tutto dobbiamo obbedire al Creatore. Noi esistiamo in una realtà che è data prima di noi. Non siamo il Creatore ma creature; bisogna conoscere e dare obbedienza a tutte le realtà perché le scelte di Dio ci precedono. Nessuno ha scelto di nascere, i propri parenti, il proprio paese, il proprio corpo, carattere, ecc. Forse vorremmo essere diversi e vivere situazioni diverse. Delle volte certe disobbedienze anche nella vita religiosa, nascono da questa primaria e fondamentale necessità di obbedire a quello che si è. Chi non obbedisce si mette fuori da questo rapporto voluto da Dio, offerta di relazione che chiama all’obbedienza. Nell’AT la disobbedienza è vista come idolatria: «se tolgo Dio ci sono io» (Carlo Acutis: meno io più Dio).

Mistero di amore e di fede, di povertà e di umiltà, mistero di pienezza

Ciò che è da sottolineare è che l’obbedienza non diminuisce o impoverisce, ma crea la nostra personalità: ci permette di essere creature di Dio oggi, nel tempo e nella storia in cui siamo. Non posso obbedire pensando di essere come un eremita nel deserto. Obbedire là dove sono, m’incarna nello spazio e nel tempo dove mi trovo e fa crescere la mia personalità. Confessando, noto che tanta gente si lamenta dell’oggi, e forse ha ragione, però noi viviamo qui e ora. Il Qohelet dice che non è saggio lamentarsi del tempo presente rimpiangendo il passato. Ricordo uno scritto di Martini che parla dell’oggi come di un tempo senza pensiero (pensiero liquido), dove sta «il principio della saggezza»? Martini rispondeva dicendo: ci piaccia o non ci piaccia questo è il nostro tempo. Obbedire all’oggi è obbedire a ciò che Dio vuole, al suo progetto su di noi e sulla storia, altrimenti si cade nella disobbedienza. È importante nello sviluppo della nostra personalità; è molto importante obbedire all’oggi di Dio: «Se oggi ascoltate la sua voce, non indurite il cuore» (Sal 95). Anche con la Scrittura in mano, vediamo che è raro che Dio comandi direttamente. Sia nella dottrina ebraica che in quella cristiana, l’obbedienza è sempre mediata: dalla Parola, dalla creazione, dalla storia. Sono tutte mediazioni con cui noi obbediamo allo “Shemà” di Dio.

A chi vogliamo obbedire? A Dio e ai fratelli

Dopo l’obbedienza a Dio, dobbiamo obbedire ai fratelli. Quando abbiamo fatto leggere a qualcuno le nostre “lettere di famiglia” questo punto ha sempre destato stupore. Il fatto che bisogna obbedire ai fratelli suscita stupore. Alvaro 3Il Signore ci ha chiamati a vivere in comunità, dunque fratelli tra fratelli, chiamati in comunità per vivere insieme l’avventura del Vangelo (dove due o tre sono riuniti insieme io sono in mezzo a loro). Non è tanto obbedire a un superiore, ma ai fratelli: è il disegno di Dio su di noi. Il pensiero che ci deve abitare, è che qualsiasi fratello che mi è stato messo accanto dal Signore nella comunità è importante, perché è qualcosa che ha fatto il Signore. Siamo arrivati da punti diversi e ciascuno di noi può raccontare la sua storia, ma la grande storia della vita religiosa è che siamo stati messi insieme, persone vive dall’opera dello Spirito Santo (dice un antico loghia attribuito a Gesù: chi ha visto il fratello ha visto il Signore).

Ecco perché dopo Dio, l’obbedienza va ai fratelli, perché è la famiglia dove il Signore mi ha chiamato. Nello svolgersi della storia della comunità certamente si evidenziano gli aspetti negativi di un fratello, ma ancor più si vedono le cose positive. Il fatto che se manca un fratello sentiamo che manca qualcosa; è un segno buono, perché i fratelli sono “vivi”, ci trasmettono sempre qualcosa e ci insegnano la carità (perché io devo amare, devo avere pazienza, mi ci devo confrontare anche quando ci sono posizioni divergenti). È questo, non le regole scritte, che possono diventare motivo di giudizio, che fa vivere la famiglia voluta nel Signore. La regola non è un contratto; se la si intende così siamo alla perversione della vita religiosa. La regola è un progetto comunitario: sottomettendosi gli uni agli altri. Obbedire dunque a Dio e ai fratelli che sono espressione del Signore.

Questo si vive nella revisione di vita. Per quanto ci riguarda a Sassovivo la revisione avviene dal mattino alla sera e questo è molto bello e concreto. Ciò non toglie che sia importante, come facciamo in questo tempo di quaresima avere dei momenti dedicati, è importante che ci incontriamo con i fratelli. Attenzione a non scambiarla però con il capitolo delle colpe, ci possono essere opinioni, caratteri, età diverse quindi le divergenze sono possibili, ma mai le accuse o i giudizi perché disconosceremmo l’opera dello Spirito Santo. Questo non vuol dire che non bisogna mai litigare, ma mai deve prevalere il giudizio sugli altri, che è condannato dal Vangelo. Per esempio io sento l’importanza dell’opinione dei fratelli giovani, anche se non sempre condivido le loro osservazioni. Ringrazio il Signore di avere dei fratelli che mi “punzecchiano” dal mattino alla sera e credo che sia importante anche il contrario da parte dei fratelli più anziani. È una grazia il vivere insieme, pensando che non stiamo né giocando, né facendo un tribunale, ma che siamo insieme collaborando all’opera dello Spirito, lo aiutiamo mentre impasta la famiglia alla quale siamo stati portati dal Signore. Il responsabile ha il ruolo di “tenere il timone”, ma la fraternità la fanno i fratelli non il responsabile!

Obbedire all’autorità costituita

Dicevamo che Dio non comanda direttamente, ma che la voce di Dio è mediata. Questo vuol dire che l’obbedienza diventa un atto di amore. Certo di obbedienza si muore (come Gesù che è morto per obbedienza), ma per noi con l’obbedienza, a morire è il nostro orgoglio ed egoismo di cui siamo pieni (san Giovanni XXIII: mettere il nostro io sotto i piedi). Essa mi mette anzitutto a confronto con gli altri fratelli perché abbiano aiuto da me e non soffrano per causa mia, dunque è un bell’antidoto all’egoismo e all’orgoglio. Gualtiero 1L’obbedienza è un atto di amore. E questo il vertice dell’obbedienza. Anche perché a contatto con gli altri fratelli, mi fa vedere le mie carenze e insufficienze, poi mi fa vedere anche le carenze dei fratelli insegnandomi la pazienza.

In se stessa l’obbedienza è dolorosa. Perciò anche quando ci sono momenti in cui questa ci fa soffrire dobbiamo conformarci a Gesù: «se possibile passi da me questo calice, tuttavia…ciò che vuoi Tu». Attraverso l’obbedienza Gesù è stato esaltato. L’obbedienza è dolorosa, ma è una morte per la resurrezione e per essere in pace. Occorre anche il sano realismo, il minimo del buon senso e un po’ di buon umore: il vivere insieme comporta la comprensione e la sdrammatizzazione, la capacità di riderci sopra, altrimenti si rischia che siamo noi a costruirci l’inferno anziché edificare la famiglia di Dio!

Tante volte è la mancanza del semplice buon senso a causare problemi enormi nelle comunità. Certo bisogna obbedire anche alla propria coscienza, ma solo se è retta e vera, perché potrebbe essere falsa o cattiva!

fratel Gian Carlo jc

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