Abbiamo già visto, parlando della Chiesa Siro-Cottolica che, dopo i concili di Nicea (431) e Calcedonia (451), la Chiesa di Antiochia si era divisa in tre realtà ecclesiali: la Chiesa Siro-Orientale, la Chiesa Siro-Occidentale e la Chiesa Melkita. Il termine stava ad indicare i cristiani che avevano accettato le decisioni di Calcedonia, difese strenuamente dall’imperatore (in siriaco: malkô, il re). Le comunità melkite, si diffusero in breve tempo nelle principali città orientali. Melkiti erano presenti anche in Arabia e nell’impero persiano. Ebbero tre patriarchi: ad Antiochia, Gerusalemme, ed Alessandria.

Considerati come alleati dell’imperatore i melkiti subirono sanguinose persecuzioni sotto i persiani di Cosroe (591-628), mentre sotto gli Arabi furono sottoposti ad una serie di misure vessatorie. Esclusi dalla vita politica seppero tuttavia farsi apprezzare per le loro capacità organizzative, amministrative e per le loro qualità intellettuali, tanto da essere presenti alle Corti dei Califfi, a volte con compiti prestigiosi. Basta ricordare Giovanni Damsceno (Mansur ibn Sarjun, per gli arabi) divenuto poi la più celebre figura monastica dell’ottavo secolo. Giovanni, abbandonata la corte, visse nella Laura di Mar Saba, non lontano da Gerusalemme, che insieme con il monastero palestinese di San Caritone e quello di santa Caterina al Sinai furono i centri culturali melkiti più importanti.

L’accoglienza della lingua araba da parte della comunità cristiana, e questo senza cessare di coltivare le lingue di origine, portò alla tradizione di opere teologiche, filosofiche e scientifiche dal greco e dal siriaco in arabo.

Nacque anche una teologia arabo-cristiana. Spinti da questi successi i melkiti già nell’ottavo secolo furono i primi ad adottare l’arabo come lingua ecclesiastica. Proprio in questi giorni, al Sinodo opportunamente si è udito l’invito alla riscoperta delle fonti della teologia arabo cristiana.

Nel 969 Antiochia fu conquistata dalle truppe bizantine e la Chiesa di Costantinopoli fece di tutto per riportare la Chiesa Melkita sotto la propria autoriíta. Il patriarca fu costretto a spostare la sede a Costantinopoli e così iniziò una forzata bizantinizzazione colmata con l’imposizione della lingua greca e del rito bizantino.

Nonostante l’influsso di Costantinopoli e il Grande Scisma del 1054 i melkiti rimasero molto sensibili al tema dell’unità. Significativa la buona accoglienza alla lettera fraterna che Urbano V nel 1367 indirizzò contemporaneamente ai tre patriarchi di Alessandria, Gerusalemme ed Antiochia. Dopo l’effimera unione di Firenze tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa il patriarca di Costantinopoli divenne addirittura patriarca ecumenico aumentando il suo potere su tutto l’Oriente. Così dal 1534 tutti i patriarchi ortodossi di Gerusalemme e Alessandria erano di origine greca. Solo Antiochia risuscì ancora ad eleggere liberamente il suo patriarca.

Nel XVII secolo, grazie ad alcune aperture degli ottomani, ci fu una discreta presenza di missionari cattolici, che conquistarono la simpatia di alcuni patriarchi e anche di molti fedeli. Non ebbero però rispetto per i loro antichi riti e nel tentativo di latinizzare tutto, crearono tensioni molto gravi. All’interno della Chiesa Melkita ci fu allora un lungo alternarsi tra quanti erano favorevoli a Costantinopoli e quanti lo erano a Roma, finché nel 724 si consumò lo scisma che fece nascere due patriarcati: uno greco-melkita-cattolico e uno greco-ortodosso. Separatasi da Costantinopoli per evitarne l’invadenza, la Chiesa Melkita-Cattolica dovette fronteggiare quella crescente di Roma. Benedetto XIV (1740-1759) cercò allora di porre fine ai tentativi dei missionari di imporre il rito latino, ma non ottenne molto. Clemente XIV (1769-1774) accorpò ad Antiochia i patriarcati di Gerusalemme e Alessandria. Gregorio XVI accordò nel 1838 a Maximos III Mikhael Mazlum il titolo di Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme della Chiesa Cattolica-Greca-Melkita.

La politica di Roma nei confronti dei Melkiti e delle Chiese d’Oriente prese la giusta direzione con l’enciclica Orientalium Dignitas (1894) di Leone XIII, che riconobbe ufficialmente i diritti dei patriarchi e impedì definitivamente la latinizzazione forzata. Il merito di tutto questo va al patriarca melkita Gregorio II (1864-1897), che fin dal Concilio Vaticano I aveva cominciato il suo tenace impegno nella difesa dei valori sostanziali che davano peculiarità e ricchezza a quelle chiese. Continuò poi a farlo durante tutto il suo episcopato. E fu ancora un patriarca melkita, Maximos IV Sayegh (1947-1967), a difendere le tradizioni orientali al Concilio Vaticano II. La sua personalità da tutti ammirata e ascoltata influenzò documenti basilari come, Lumen Gentium, Orientalium Ecclesiarum, De Oecumenismo (Unitatis Redintegratio). Esemplare il suo rapporto di amicizia con il grande patriarca ortodosso Atenagora I (1948-1972).

Uno dei punti della latinizzazione di queste chiese è stato il celibato dei presbiteri. In Oriente convivono e collaborano benissimo e senza differenze particolari, sacerdoti celibi e sposati, con soddisfazione dei vescovi e delle comunità. Dopo tanti anni vissuti in queste terre e a fianco di questi confratelli posso testimoniare che solo la mia curiosità mi ha fatto conoscere se uno apparteneva all’una o all’altra categoria e non certo la loro azione pastorale o la tensione spirituale. Peccato che ancora oggi la Chiesa Occidentale continui apologeticamente a fare sottili distinzioni di valori o di opprtunità tra il presbiterato dei celibi e quello degli sposati, con scarso fondamento sulla Parola di Dio e non ritenere la vocazione e il servizio alla comunità un dono dall’alto che non fa distinzione di persone e tutto opera per la costruzione ben compaginata del corpo di Cristo.

La Chiesa Cattolica Melkita è presente in tutto il Medio Oriente e in Terra Santa è la comuinità cattolica più numerosa. Qui nel suo servizio pastorale segue con una cura tutta particolare l’educazione scolastica delle nuove generazioni nella speranza di creare stima reciproca e amicizia tra gli allievi delle varie confessioni religiose ed etnie che aiutino a troncare l’odio e a coltivare semi che portino finalmente frutti di pace.

I melkiti cattolici sono circa due milioni, presenti in Medio Oriente e nella diaspora. Il patriarca è Gregorios III Laham Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente con residenza a Damasco. Usano la liturgia di san Giovanni Crisostomo in arabo.

fratel Alvaro