Lunedì scorso è cominciata nelle nostre parrocchie una serie di incontri in preparazione al Sacramento del matrimonio. Molto spesso i giovani che arrivano (anche se non tutti sono poi così giovani…con punte fino a quarant’anni) sono i cosiddetti “reduci della Cresima”, nel senso che da quel giorno non sono più entrati in chiesa se non per matrimoni, battesimi e funerali.

Di solito arrivano con una certa diffidenza e anche con una certa insofferenza perché nonostante la loro lunga latitanza non ritengono di dover avere nulla da capire di nuovo riguardo al matrimonio; e magari giustamente dicono tra sé: “che ci potrà dire un prete sul matrimonio? Che cosa ne sa?”. Di fronte a questa situazione verrebbe spontaneo rimandarli da dove sono venuti! Con quale consapevolezza si muovono verso un sacramento così grande? Come possono chiedere di sposarsi in chiesa persone che non sono praticanti? Ma non si rendono conto che il Credo non comprende solo Dio Padre, ma anche il Figlio, lo Spirito e la Chiesa?Ho sentito anche un prete affermare che lui non celebrerebbe mai il matrimonio di una coppia che non abbia fatto una preparazione almeno di due anni e penso che non abbia tutti i torti. Così ogni anno riaffiorano tutte queste riflessioni. Che fare? Come muoversi?

Non dimentico mai la testimonianza di un anziano prete romano sempre in tonaca, che per più di quarant’anni è stato in una borgata piuttosto degradata della capitale: “non dobbiamo spegnere il lucignolo fumigante della fede di quelli che vengono a cercarci per qualsiasi motivo”.Sono vere tutte le nostre riflessioni, ma credo che dovremmo ribaltare la questione. Questi giovani (più o meno) sono venuti a cercarci, il Signore si vuole servire di questa occasione perché si riavvicinino a Lui…come fare per farli incontrare con Lui?

La strada delle esigenze, dei requisiti, delle condizioni è la migliore? Dire: o venite per due anni o non vi sposo è la via migliore? Io (anzi sarebbe meglio dire noi piccoli fratelli) cerchiamo di proporre invece la strada di un’accoglienza incondizionata…certamente sperando che un cammino vero di fede possa scaturire anche da questi incontri. Spesso il nostro modo di dettare condizioni (anche se giuste) rischia di essere preso solo come moralismo e così si spegne il lucignolo fumigante. Già per molti di questi giovani è stato grosso lo sforzo di riavvicinarsi alla chiesa, perché non andargli incontro noi sul loro piano per poi sperare di tirarli verso Gesù? E poi un’ultima parola in loro favore la voglio proprio spendere: ogni volta che faccio questi incontri rimango stupito da come vanno incontro alle nozze con grande convinzione e maturità…anche se poi magari la durata non è quella prevista.

Sono belli questi giovani, disposti a farsi stupire da una fede che però non sia subito tradotta in condizioni, in esigenze, in requisiti da possedere. Ma sono loro che non accettano le nostre condizioni o noi che non siamo capaci di trasmettere la gioia della nostra fede?

fratel Gabriele