Non manchiamo anche quest’anno di raccontare la celebrazione per la Giornata Mondiale del Malato, tenutasi il 16 febbraio all’Ospedale Italiano di Nazaret nel quale prestiamo il nostro servizio.

Come ogni anno abbiamo celebrato l’Eucaristia in arabo per pazienti e familiari nel reparto di geriatria, amministrando ai malati il sacramento dell’unzione degli infermi. Un momento molto toccante per tutti, sapendo che molti di loro affrontano nel nostro ospedale l’ultima tappa della loro vita. Il clima di seranità e di festa ha aiutato a disporsi in modo positivo ad accogliere quell’aiuto che il sacramento rappresenta nella situazione di malattia. Le letture proposte, all’insegna della partecipazione del Signore alla sofferenza ed alla indigenza della persone malate, hanno suscitato nei partecipanti sentimenti di profonda consolazione.

Una parola ha guidato la riflessione: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt  8,17). La citazione di Isaia fatta da Matteo ci ha condotto a considerare il lavoro di quanti operano nella struttura del nostro ospedale. Abbiamo sentito la necessità di condividere con il Signore questo gesto salvifico del “farsi carico”. I valori di san Giovanni di Dio, l’ospitalità, la misericordia, la compassione, ci hanno chiarito il senso di queste parole. Nella misura in cui lavoriamo in questa direzione prendiamo su di noi le infermità degli altri e ci addossiamo le loro infermità. Un ulteriore atteggiamento fondamentale ci è parso quello dell’umiltà. Con esso non ci fermiamo al servizio presso i malati ma ci disponiamo all’ascolto e alla volontà di imparare da essi. Essi possono essere nostri maestri nel cammino di fede: con il loro sorriso ci ricordano che le nostre sofferenze e i nostri fallimenti non sono l’ultima parola sulla nostra vita; quando ci dicono: “Se tu sei contento anche io sono contento”, ci richiamano alla gioia che deriva dalla felicità altrui, nonostante la nostra condizione; quando ormai non sono più coscienti e cadono nel sonno dal quale probabilmente non si risveglieranno più, ci insegnano il senso delle parole della preghiera di abbandono: “Padre mio io mi abbandono a te!”

Abbiamo molto da condividere e da imparare dal mistero del dolore sapendo che il servo sofferente, Gesù di Nazaret, è il nostro modello. Come ci ricordava la prima lettura siamo chiamati a portare “sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,10).

fratel Marco jc