Vivere a Nazaret significa pure essere sempre aperti ad ogni tipo di visita e di accoglienza. E così negli ultimi giorni ci è capitato di ospitare un nuovo amico che, per caso o per provvidenza, si è trovato a chiedere un posto per dormire. Come sempre cerchiamo di essere disponibili con questi casi perché non sono pochi i pellegrini che, organizzandosi un viaggio da sé, rimangono senza dimora nei normali luoghi di accoglienza.

Così Adesina, un nigeriano di mezza età, è entrato nella nostra casa e nella nostra vita. Una presenza possente, omone grande e alto, con un cuore ancora più grande della sua statura. Si è fermato con noi tre giorni e abbiamo potuto conoscerlo nelle serate passate insieme.

Il solo colore della pelle, con la sua provenienza africana ci ha riportato ai luoghi tanto amati dalla nostra fraternità e dalle radice della nostra stessa esperienza spirituale. Fr. Charles, come sappiamo ha abitato per lunghi anni proprio in Africa, nel deserto del Sahara, e così ci siamo sentiti subito in sintonia con la storia di questo nostro fratello.

Il discorso è andato subito sulla situazione del nord Africa che attraversa in questo momento tempi difficilissimi. La lettura che ci ha dato della situazione è stata senz’altro appropriata e fondata. Un tempo era molto più facile definire le situazioni dei paesi africani, anche perché la classificazione della propria linea politica era determinata dal legame con le due superpotenze mondiali, o l’una o l’altra: gli USA o la Russia. Ora non è più così e l’informazione, con l’avvento di Internet ha fatto capolino nelle case di moltissime famiglie che si informano ed escono dai soliti schemi mentali precostituiti. Così risultano vere quelle interpretazioni della situazione che vedono proprio nelle nuove tecnologie le cause e la diffusione delle motivazioni della rivolta che sta attraversando tutti questi paesi ed il medio oriente.

Adesso chiunque può informarsi sul resto del mondo ed avere fonti di ispirazione per sognare un futuro migliore. Così molti vedono nei paesi europei o in altre zone del pianeta una realizzazione più giusta dello stato e della società. Ma la cosa interessante che ha sottolineato è che in realtà il problema delle persone in Africa rimane la fame, la possibilità di guadagnarsi il pane per sfamarsi ogni giorno, prima ancora della democrazia. Così c’è il rischio di una confusione tra la soluzione democratica della questione del governo, con la risoluzione del più ampio e radicale problema della fame e della povertà. In altre parole c’è il pericolo di cercare nella democrazia la soluzione di problemi che non sono direttamente connessi con essa.

La democrazia inoltre, aggiungeva, non è che si possa facilmente insegnare; non è come la matematica! Se non c’è nella cultura di un popolo è difficile realizzarla improvvisamente senza un processo che porta quel determinato popolo a tale orizzonte. Di qui anche la critica a chi negli anni novanta ha iniziato l’«esportazione» della democrazia in altri paesi. Quale sarà dunque l’evoluzione di questa situazione? Non è dato saperlo, ma è chiaro che se non ci saranno uomini illuminati e capaci di guardare al vero bene del popolo e non dei propri interessi, si creeranno ulteriori grossi problemi. Chiaramente non era questa una difesa del dittatore di turno, ma semplicemente una analisi dei veri problemi in gioco.

I nostri colloqui non si sono fermati alla questione africana, ma ci siamo spostati anche su temi spirituali, vista la sua profonda fede e la sua voglia di conoscere questa terra nella quale in diverse occasioni ci ha testimoniato la sua emozione.  Di padre e madre mussulmani, riassume in sé la ricchezza della tradizione islamica unita a quella cristiana della quale ha scelto di fare parte.

Particolarmente toccante il suo saluto finale, che ha sancito una specie di alleanza tra la nostra comunità e la sua famiglia. Ci siamo dichiarati reciprocamente fratelli e parte della stessa famiglia. Ci ha ringraziato per lo spirito evangelico con il quale è stato accolto, per l’apertura, per la passione che ha potuto scorgere nella nostra fraternità. Non si è dilungato in parole «effimere» per ringraziarci, ma ha usato espressioni davvero profonde che rimangono nei nostri cuori quale segno di amicizia e di fedeltà.

Per citare ancora la sua profondità e il suo sguardo contemplativo diceva che la città del  mondo che più lo ha segnato è stata Venezia. Per il fatto di essere costruita sull’acqua, con ponti che si appoggiano ora ad una casa ora ad un’altra, fa pensare ad una popolazione che doveva necessariamente essere coesa ed unita per poter dar vita ad una tale città. Così regalerà a suo figlio ed alla sua futura nuora che si sposeranno in luglio, un viaggio a Venezia per vedere plasticamente come un matrimonio possa restare in piedi, se c’è unità, collaborazione e coesione.

Ci piace pensare che queste caratteristiche possano essere anche quelle del nostro stare insieme per continuare ad annunciare a quanti si accosteranno alla nostra vita un’esperienza vera di Vangelo.

Grazie Adesina e buona vita e buon rientro a Laos!

fratel Marco