Si è tenuta nei giorni scorsi a Nazaret, una conferenza sui cristiani in Terra Santa oggi. Non si trattava di una relazione di dati statistici, quanto di una riflessione più profonda sulla missione dei cristiani in questa terra speciale, presentata nel contesto del cammino quaresimale appena cominciato.

 

Abouna Jousef accoglie il Vescovo Sabbah

L’iniziativa è partita dalla parrocchia maronita di Nazaret e il relatore, invitato dal parroco abouna Jousef, era il patriarca latino emerito, Michel Sabbah. L’accoglienza è stata calorosissima, visto anche che il vescovo Sabbah è nativo di Nazaret. Abouna Jousef, nel presentarlo ha usato parole di grande stima e affetto, affermando che pur essendo stato patriarca di un rito diverso da quello maronita, è sempre stato considerato come un padre, da parte di tutti: “la nostra chiesa è la tua chiesa, la nostra casa è la tua casa”.

Il sentimento prevalente nel quale vive il cristiano di Terra Santa oggi, sembra essere quello della paura. Paura per il futuro della presenza delle proprie famiglie qui, e del futuro della presenza cristiana più in generale; paura per le relazioni tra culture, storie e comunità religiose diverse in questa regione; paura che si accentua ancor più per la situazione dell’orizzonte presentato dal mondo arabo in questo frangente storico.

Più volte il patriarca emerito ha rinnovato l’invito (che poi è lo stesso di Gesù) a non avere paura, ad avere fiducia e a prendere in mano la propria vita e il destino di questa regione, attraverso una rinnovata sensibilità verso la società in cui il cristiano abita: “il mondo arabo sono io, la società musulmana sono io, quella ebraica sono io; la Siria sono io, il Medio

L'assemblea pone domande e riflessioni

Oriente sono io”. Pressappoco con queste parole ha esortato tutti a sentirsi pienamente coinvolti nella sorte e nella piega che sta prendendo la vita in questa parte del mondo. Non possiamo sentirci lontani, distanti, non coinvolti appunto, da ciò che succede nei paesi limitrofi o all’interno dello stesso Israele.

“Talvolta ci si domanda: Cosa sarà del cristianesimo in Siria?”. Ma la domanda vera, a detta di Sabbah, è: “Cosa sarà della Siria tutta?”. Ciò che accade alla società non può essere un problema soltanto di una parte di essa. O un paese affronta unito il suo futuro, perché composto da essere umani che condividono la dignità umana, oppure non ha futuro. E il cristiano non può aspettarsi “iniezioni” di cristianesimo (persone o idee o altro) dall’occidente o dall’Europa, ma deve necessariamente farsi carico lui stesso del suo futuro.

In questo contesto appare una figura di cristiano un po’ “timida”, che tende a nascondersi. Il patriarca citava i numeri statistici di quanti, in Israele, a Gaza o in altri paesi, non sono a conoscenza della presenza cristiana sul territorio e le cifre fanno riflettere. Questo denota quanto sia necessario che il mondo cristiano abbandoni le sue paure e si faccia carico della costruzione attiva di una società più umana e più giusta. La Chiesa infatti è “tutti i gruppi umani o culturali presenti nella regione”. Se ho vissuto una vita intensa di preghiera e se ho costruito la società, allora sono stato credente, cristiano. Altrimenti la vita di fede manca di un aspetto tanto fondamentale quanto lo è la vita spirituale.

E la forza della fede alla fine è la forza dell’amore. Così, un uomo, un palestinese, un nazaretano, un cristiano, un vescovo, quale è Michel Sabbah, ha affermato che il cristiano “sono io”, il musulmano “sono io”, l’ebreo “sono io”. Il cristiano infatti deve aprire il suo cuore a tutti, senza distinzione ed essere filo che tesse l’unità in questa società così divisa, per costruire insieme il futuro sulla base dell’unica umanità che tutti accomuna.

Queste riflessioni, così incomplete per i limiti dettati dalla comprensione della lingua araba (la conferenza era in arabo), ci sembrano opportune e preziose non solo per i cristiani di Terra Santa, ma pure per i cristiani di tutto il mondo e per questo desideriamo condividerle.

fratel Marco