Concludendo il nostro cammino quaresimale vorrei condividere con voi, carissimi lettori e amici, alcune riflessioni che potrebbero esserci di aiuto. So che sono cose molto personali e per questo sono cosciente che ciascuno può trovare altre piste per prepararsi alla celebrazione del “cuore della nostra fede”: Gesù Cristo nostra Pasqua.

Una delle cose che mi sorprende nella narrazione della passione è il fatto che i quattro evangelisti si trovano d’accordo nel dire che “è arrivata l’ora” (Mt 26,18, Mc 14,41; Lc 22,14; Gv 13,1; 17,1). A quale ora si riferisce Gesù? Che cosa significa questa ora per noi? E altre domande simili credo che ci possano essere di aiuto in questi giorni – e forse sempre – perché se non cerchiamo di entrare nel mistero della passione di Gesù, non entreremo nel mistero della risurrezione. Se non moriamo, non risusciteremo, non potremo vivere la gioia di questo evento. È brutto dire no, no, no… quando sappiamo che in Cristo tutto è sì, sì, sì…, Tuttavia l’invito di Gesù:  “vegliate e pregate per non cadere in tentazione…” (Mc 14,38) è un’esortazione ad essere coscienti che l’ora si avvicina, che arriva, che già stiamo vivendo. Il pericolo più grande per la nostra fede è l’ignoranza, la tiepidezza, la pigrizia… crediamo che “tutto passa”, però nel mezzo degli alti e bassi della quotidianità Gesù ci invita a prendere le cose sul serio. Un parroco diceva:  “tutti sappiamo che Gesù è risorto, ma quanto abbiamo incontrato veramente il Risorto?”

Se tu vuoi incontrarlo ti indico una via, tra molte altre, che mi aiuta molto: il silenzio. Il silenzio? Sì! Mi stupisce che l’evangelista Matteo, dopo aver presentato i cinque discorsi di Gesù, giunta l’ora della sua passione,  dica: “terminati questi discorsi”. La liturgia, pure, ci aiuta in questo: la domenica delle palme e il venerdì santo non si fa l’omelia, e il sabato santo è il “giorno del silenzio” (lettura patristica). Questo è molto interessante perché solo chi è capace di far silenzio può affrontare le situazioni più dure della vita. Non fare silenzio significa fuggire. Ma fare silenzio non significa dormire, come i discepoli nell’orto degli ulivi. John Cryssavgis, un esperto nello studio dei padri del deserto dice che per loro “il silenzio è un modo di sperare, un modo di osservare e un modo di ascoltare quando [Dio] giunge dentro di noi o attorno a noi. È un modo di interiorizzare, di fermarsi e, pertanto, di esplorare i segreti del cuore e il centro della vita. È un modo per penetrare le cose al quale non si può rinunciare. Il silenzio non è mai solo l’assenza di parole: sarebbe una definizione troppo riduttiva e negativa. Molto più è la pausa che tiene tutto unito, di fatto rende sensate tutte le parole, che siano dette oppure no. Il silenzio è il collante che crea il vincolo tra i nostri atteggiamenti e le nostre azioni. Il silenzio è pienezza, non vuoto; non è un’assenza, ma la coscienza di una presenza. Tutto il movimento di fuga verso il deserto può essere riassunto nel primato e nella prassi del silenzio”. Che sia così per te e per me.

Concludo ricordando quello che ci scriveva il nostro priore Gian Carlo all’inizio della quaresima: “Vedi come inizia realisticamente il nostro cammino quaresimale? Se non ci lasciamo condurre dallo spirito nel deserto, se non tagliamo i vincoli con la nostra prosopopea, se non ritorniamo nella diaspora, nella dispersione, se non accettiamo il faticoso cammino di tutti, tutti uniti, come Gesù, non ci sarà per noi risurrezione, passaggio, liberazione”.

Franklin