Ho letto con gaudio e molto profitto un articolo recente del gesuita Diego Fares: «A dieci anni da Aparecida. Alle fonti del pontificato di Francesco» (La Civiltà Cattolica, 20 maggio/3 giugno 2017), dedicato al X anniversario dello svolgimento della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi (Celam), celebrata nella città brasiliana dall’11 al 31 maggio 2007. L’Autore sostiene che vale la pena interrogarsi su quanto essa abbia inciso nella vita del continente latinoamericano e della Chiesa universale, e parla di un “plus” dello Spirito di Aparecida. L’aria fresca portata da papa Francesco non è qualcosa di improvvisato o di esclusivamente suo, ma ha avuto un precedente in Aparecida, dove il modo di lavoro sinodale incoraggiato dal cardinale Bergoglio, allora presidente della Commissione di redazione del «Documento finale» (AP), suscitò nell’assemblea la maturità umile di un consenso compatto.
Il grande tema di Aparecida, il “plus” dello Spirito, è la missione cui ci spinge lo Spirito. È l’espressione originale degli Atti degli Apostoli: «Lo Spirito Santo e noi» (At 15,28). È la chiamata a uscire da sé, evitando una Chiesa autoreferenziale: «Non vogliamo infatti essere una Chiesa autoreferenziale, ma missionaria; non vogliamo essere una Chiesa gnostica, ma una Chiesa che adora e prega. Noi popolo e pastori che costituiscono questo santo popolo fedele di Dio, che ha l’infallibilità nella fede, insieme con il Papa, noi popolo e pastori parliamo in base a ciò che lo Spirito ci ispira, e preghiamo insieme e costruiamo la Chiesa insieme, o meglio siamo strumenti dello Spirito che la costruisce» (Omelia del cardinal Bergoglio, Aparecida, 16 maggio 2007).
Siamo da poco rientrati dal Guatemala e sono ancora fresche le immagini di una Chiesa in grande dinamismo. Il fervore del Popolo di Dio è semplicemente impressionante. La Chiesa è molto viva, nonostante i fenomeni del secolarismo e il laicismo che si diffondono ovunque, le “masse” continuano a frequentare le liturgie e la pietà popolare è avvertita come una vera “mistica popolare” o “spiritualità popolare”. Non c’è dubbio che la differenza la fa la naturale e costante partecipazione dei laici di tutte le età. Ci sono i piani pastorali, ma al clero spetta soprattutto trasmettere gli orientamenti, mentre tutto il lavoro è portato avanti dal Popolo di Dio. Si respira un’aria fresca, giovanile (nella nostra parrocchia d’origine, prima della pasqua, è stata celebrata la Giornata diocesana della Gioventù: trentamila giovani, e numero chiuso per mancanza di spazi!). La Chiesa tiene e continua ad essere uno “zoccolo duro” per le società. Occorre fare un “cambio di programma” mentale per contenere le emozioni di passare dalle celebrazioni affollate della domenica a quelle con il “piccolo resto” delle nostre parrocchie in Italia. Non è né una critica né un giudizio, ma una semplice constatazione.
Il Documento di Aparecida dedica una parte consistente al tema: «I discepoli missionari come servitori della gioia del Vangelo». Nell’Introduzione la missione della Chiesa viene delineata riprendendo le affermazioni di Evangelii Nuntiandi 1: «L’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo come un servizio alla comunità e all’umanità». Pertanto, formare discepoli missionari che compiano tale servizio «con amore, zelo e gioia sempre maggiori» è stata per la Chiesa latinoamericana la «sfida fondamentale» e attualmente ne è il suo “tesoro”. Il tema dei discepoli missionari occupa tutta la seconda parte del Documento di Aparecida: non si limita alla descrizione di un “discepolo ideale”, ma il discepolato missionario è presentato come «al servizio della vita». Nell’ambito di questo discepolato, il Documento mette in risalto il ruolo dei laici descrivendo il loro ruolo specifico, che «si realizza nel mondo» e che non deve in alcun modo clericalizzarsi».
A nessuno sfugge la difficoltà per papa Francesco di trasmettere un modo “nuovo” – si fa per dire – di concepire l’opera missionaria della Chiesa. Ci si rifugia nella convinzione che «qui non siamo in America Latina», e così si continua a faticare seguendo gli stessi percorsi. Il paradosso è che proprio molti vescovi e presbiteri sono i primi a lamentarsi (per non dire opporsi a) del Vescovo di Roma che improvvisa la benedizione delle famiglie che vivono in un condominio… Se pensiamo – conclude Fares – a quale grande evento sia stato il Concilio Vaticano II, constatiamo che cinquant’anni dopo stiamo ancora cercando di mettere in pratica molte delle inspirazioni che lo Spirito ha dato ai padri conciliari. I frutti di Aparecida – una Conferenza subcontinentale importante, ma relativamente piccola – si sono estesi alla Chiesa universale e molto oltre le sue frontiere, grazie alla spinta che papa Francesco ha dato a un’evangelizzazione che rende il popolo di Dio, nel suo insieme, «discepolo missionario» (AP 181), come voleva il Vaticano II.
Che la festa della Visitazione di Maria a Elisabetta e il Dono dello Spirito Santo ci facciano percorrere vie sempre nuove per dire agli uomini e le donne del nostro tempo che sono amati da Dio.
fratel Cruz Oswaldo jc