Riportiamo di seguito la testimonianza di un giovane passato nei mesi scorsi da Sassovivo per fare un’esperienza di preghiera e di fraternità. Non è raro che veniamo visitati da giovani in ricerca di senso, di silenzio e di orazione. Pubblicare questa riflessione ci sembra un modo per parlare ancora di noi, ma attraverso la voce di qualcuno che non è piccolo fratello e che può offrire un punto di vista e una chiave di lettura ulteriore. Per discrezione abbiamo eliminato ogni riferimento personale.

La cosa che a primo impatto mi appare nella mente quando mi viene chiesto di raccontare questa esperienza è il mio arrivo presso l’abbazia; ho trovato ad accogliermi nel cortile una sedia con sopra la liturgia delle ore e la Bibbia (era il posto che mi era stato riservato) e, intorno a questa sedia altre quindici che mi aspettavano per un appuntamento straordinario:

l’incontro con il Signore attraverso la PREGHIERA. Subito mi sono sentito importante per quella comunità, mi accorgevo che in quel luogo non arrivava un “ospite” ma un altro “piccolo fratello da amare”.

Un giro veloce di strette di mano, una breve presentazione dalla voce di frate Leonardo e poi mi trovavo lì, sin da subito a fare esperienza di DESERTO. Volevo scappare, quel corridoio che portava alla mia stanza mi faceva paura, un silenzio insolito, ho provato a scrivere subito alcune cartoline da spedire, ma è stato peggio! mi mancavano i miei affetti, le mie cose, non riuscivo a prendere la linea al cellulare… mi sentivo fuori dal mondo!

La prima cosa che sono riuscito a concretizzare? Troverò il modo (anzi la scusa) per anticipare la partenza! Non vedevo l’ora che arrivassero le 18.00 per la celebrazione della messa, se non altro pensai, è un motivo per non essere solo. Finalmente l’ora di cena, il momento di condivisione e la tanto sospirata linea al cellulare. Non mi sembrava educato togliere troppo tempo al momento di condivisione, sicuramente volevano conoscermi meglio, bisognava scegliere chi chiamare, la scelta è stata rapida: chiamo don…., a lui posso confidare lo stato d’animo iniziale (perché di questo si trattava), sicuramente non mi dirà: ma dove te ne sei andato?? Anzi, troverà le parole giuste per farmi essere sereno. E su questo almeno non mi sono sbagliato, è andata proprio cosi! È arrivato il momento di andare a letto, la stanchezza del viaggio ha giocato a mio favore, mi sono addormentato senza avere il tempo di pensare troppo e di colpo era già martedi. Mi sentivo già meglio, volevo sperimentare un nuovo modo di pregare, un nuovo modo di vivere comunitariamente, ero curioso di scoprire come si sarebbe svolta la mia settimana con i piccoli fratelli. I primi due giorni li ho trascorsi aiutandoli, nella mattinata, a fare alcune faccende che sicuramente in altri posti sarebbero state affidate ad altri che ancora hanno l’umiltà di sporcarsi le mani. Pensai la stessa cosa: ma proprio io devo aiutare Franklin, studente di teologia, a togliere la polvere dai mobili? Qui non esistono le donne che si occupano delle pulizie? Beh alla fine mi sono ricreduto, al di là del servizio che avevo svolto avevo avuto l’opportunità di confrontarmi con un mio coetaneo che aveva fatto delle scelte di vita probabilmente diverse dalle mie, ma iniziavo così a riempire il bagaglio per il mio ritorno; mercoledì  fratel Oswaldo mi ha chiesto di aiutare fratel  Gabriele in parrocchia, mi trovai a sistemare con lui una presa di corrente e poi a preparare dei viveri che la Caritas avrebbe distribuito, sicuramente più gratificante del togliere la polvere dai mobili ma, ancora non capivo, mi chiedevo, che fanno questi, i preti o gli operai? E poi, che cosa li ha spinti ad essere piccoli fratelli? Chi glielo fa fare? La risposta non mi è stata data da loro, l’ho avuta nei giorni seguenti vedendo con quanto amore la gente del posto cercava quel “tipo di prete”. Nel frattempo però non perdevo di vista l’obiettivo principale di questa esperienza: un’esperienza forte di preghiera e di riflessione sul mio cammino di discernimento, seguendo i ritmi della comunità, che man mano diventavano i miei ritmi, ormai quel “deserto” iniziale non mi spaventava più, anzi aspettavo i momenti riservati alla riflessione, perché ogni volta ne uscivo arricchito, magari di domande, di incertezze ma non importa, si trattava comunque di una ricchezza.

Cosa ho scoperto… dall’ esempio dei piccoli fratelli ho capito che essere prete non vuoi dire diventare un “funzionario di Dio” ma servirlo con la convinzione che Lui lo troviamo in ogni persona che ci è accanto, mi porto con me per questo anno di discernimento tre cose con l’impegno di coltivarle per far si che accrescano in me: il silenzio, la preghiera, i rapporti con gli altri.