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Questa sera (1 marzo) nella parrocchia di Sotto il Monte il nostro amatissimo Mons. Capovilla riceverà le insegne cardinalizie per mano del cardinale decano Angelo Sodano. Avremmo voluto pubblicare un suo saluto, in esclusiva, per i nostri amici lettori

(giacché Qualcuno a lui vicino ce l’aveva promesso a suo tempo), ma non è stato possibile, anche se questo non vuol dire che il caso sia chiuso! Ora però ci troviamo di fronte all’imbarazzo della scelta a causa dell’abbondanza del materiale a nostra disposizione. Lo stesso “don Loris”, in occasione del 40° di presbiterato del nostro Priore, nel 2010, scriveva: «Gian Carlo, facciamo festa insieme, mentre scorrono dinanzi ai nostri occhi le provvidenziali sequenze di quarant’anni, dalla graziosa e povera residenza di Limiti di Spello sino all’approdo a Sassovivo…». Un’amicizia che dura praticamente da una vita e che ha arricchito in vari modi la nostra Fraternità, e anche di tanti documenti che custodiamo nel nostro archivio-reliquiario. Vi è un’altra difficoltà concreta: come sintetizzare – per non dire mutilare – i testi sempre abbondanti e ricchi di Mons. Capovilla? Ecco allora che ci dobbiamo accontentare di scegliere una lettera, una tra le tante, da condividere con tutti coloro che ora formano parte della nostra «famiglia allargata» del blog, ma con la soddisfazione di non dover omettere nulla.

 fratel Oswaldo jc

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Sono riconoscente a te e alla «Famiglia Jesus Caritas»: mi ha dato stima, fiducia, incoraggiamento, affetto. Sono doni preziosi del «campo dei poveri che produce molti frutti» (Pro 13,23). La [vostra] piccola Comunità è stata voluta da Dio non per imporsi all’attenzione, non per provocare applausi, non per progettare opere appariscenti. Nello spirito del monachesimo di Oriente e di Occidente, aggiornato dalle intuizioni di Charles de Foucauld, incarnate dal nostro fratel Carlo [Carretto], la Comunità di Foligno-Spello è e vuol restare piccola e povera, disponibile a tutto (anche ad essere schiacciata), desiderosa solo di servire e di dare, abilitata a testimoniare il vangelo nelle sue esigenze più aspre: misericordia e perdono.

BodyPart-15 L’allegato corsivo di Carlo Bo su don Primo Mazzolari (La Provincia, Cremona, 20 giugno 1992) è illuminante in proposito. Questo prete colto e buono ha bagnato con lagrime amare le migliaia di fogli riempiti con la sua grafia larga come il suo cuore. Ha bagnato con lagrime i solchi di Cicognara e di Bozzolo, parrocchie della Bassa Padana. Vissuto povero, morto povero, ha potuto scrivere nel suo testamento: «Intorno al mio altare, come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai suon di denaro… Il Signore avrà cura anche della mia sorella Giuseppina, che, dopo una vita spesa in un modo mirabile per me e per la Chiesa, è come un uccello su di un ramo».

 Lo so. Non siamo insensibili. Anche una puntura di spillo suscita reazione di disagio e di ripulsa. Ma, allora, dov’è la nostra fede?

 «Io confido in Dio e nella sua luce. Confido negli uomini di buona volontà, contento che le mie parole suscitino in tutti i cuori retti un palpito di virile generosità. Accade talora che una voce lieve, quasi in tono di profezia, arrivi al mio orecchio in sussurro di esagerato timore, che poi accende deboli fantasie. San Matteo ci racconta di Gesù che nel vespero di una giornata faticosa si raccolse solo sul monte a pregare. La barca dei suoi, rimasta sul lago, era agitata dai venti, e a notte Gesù discese leggero sulle onde, e ad alta voce disse: “Abbiate fiducia e non temete poiché sono io”. L’umile successore di san Pietro non prova ancora alcuna tentazione di sgomento. Mi sento forte nella fede e accanto a Gesù posso attraversare non solo il piccolo lago di Galilea, ma anche tutti i mari del mondo. La parola di Gesù basta a salvamento e a vittoria» (DMC, III, 93, 22-12-1960).

 In limine vitae, Giovanni XXIII era consapevole che taluno lo accusava di eccessivo ottimismo, di non vedere le ombre che gravavano sulle situazioni della Chiesa e dei popoli; taluni, più d’uno, non accettava il progetto di più ardita navigazione, per condurre al largo la barca. Allora egli profittò della sua festa onomastica, l’ultimo san Giuseppe del suo pontificato, per aprire l’animo suo ai suoi più diretti collaboratori:

«Credo fermamente all’azione di Dio nella coscienza dei singoli, alla sua presenza nella storia. Credo al suo amore. Questa sicurezza è radicata sulla continua assistenza di Gesù, fondatore della Chiesa, che cammina sereno sulle onde del mare in tempesta: “Habete fiduciam. Ego sum. Nolite timere” (Mt 14,27). Quando per la prima volta risonarono queste arcane parole, apostoli e discepoli, lo sappiamo bene, costituivano uno sparuto gruppo; eppure l’invito di Gesù non conobbe tentennamenti: “Nolite timere, nolite timere!”. Questo mantiene nell’uomo di fede l’umiltà, fondamento di ogni solido edificio; conserva il sano equilibrio, la cristiana indifferenza circa i giudizi del mondo; e poi alimenta in ciascuno la convinzione di essere strumento e nulla più, docile e pronto, ma strumento e collaboratore di quel Dio, che per sua misericordia associa le sue creature ai disegni di eterni splendori, che riflettono sulla terra irradiazione di grazia e di pace… Chi ha fede non trema, non precipita gli eventi, non sgomenta il prossimo. Chi crede non vacillerà (Is 28,16). La serenità del mio animo di umile servo del Signore trae di qui continua ispirazione, e non ha origine dalla non conoscenza degli uomini e della storia, e non chiude gli occhi davanti alla realtà. È serenità che viene da Dio, ordinatore sapientissimo delle umane vicissitudini…» (DMC, V, 163-164, 17-03-1963).

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