Anche se ancora non è diventata una tradizione…per il secondo anno consecutivo siamo partiti con un gruppetto di giovani delle nostre parrocchie per trascorrere tre giorni dalle nostre piccole sorelle a Fermo.

La loro fraternità si occupa di “Casa Betesda”, una casa di prima accoglienza della Caritas diocesana dove sono accolte le persone più disparate che passano dalla strada a questo accogliente luogo dove, sollevati dalle esigenze pressanti di cibo e alloggio, possono dedicarsi a trovare casa e lavoro.

Le nostre sorelle fanno un lavoro bellissimo e intensissimo: anzitutto con una presenza ininterrotta, poi con un capillare servizio che mira a ridare ad ognuno degli ospiti una vita più dignitosa…ma la cosa che colpisce di più è il clima di famiglia allargata che si respira grazie alla loro cordialità e affabilità.

In questi giorni abbiamo trovato una quindicina di ospiti dai settanta anni a un bambino in arrivo…tre mamme con dei bambini che definire vivaci è una sottovalutazione…quattro bambini “imprendibili” che penso abbiano il dono della bilocazione perché più volte li abbiamo visti fare disastri in punti diversi nello stesso momento. Il giorno dei martiri innocenti, durante l’Eucaristia li vedevo fare confusione davanti a me…ma pochi decimi di secondo dopo mi sono sentito tirare per l’alba da sotto l’altare…avevano raggiunto la postazione più importante ed erano pronti all’attacco!

Certo che la vita delle sorelle Rita, Paola e Diomira è veramente intensissima…pressate come sono dalla vita di ciascuno dei loro amati “ospiti”…ma è una vita dalla quale traspaiono una serenità e una “speranza fiduciosa” che risultano anche contagiose. È la prima cosa che i nostri giovani hanno notato nella piccola verifica dell’esperienza che abbiamo fatto durante l’Eucaristia conclusiva.

Molto belli poi i due incontri che abbiamo avuto con la comunità di Capodarco e con una casa famiglia di ragazze madri nelle quali abbiamo ascoltato bellissime testimonianze. Soprattutto Giovanni, un ventottenne diversabile che vive da sette anni a Capodarco e che ci ha folgorati per la lucidità con la quale ci ha parlato della sua situazione e di come quello in cui vive non è un “istituto”, ma una “comunità” nella quale ognuno si mette in gioco come persona con le sue caratteristiche, doni e limiti.

In queste giornate volevamo far vivere ai nostri giovani un’esperienza di fraternità, insistere con loro sul valore della comunità come luogo di vita voluto per noi dal Signore (che ci ha creati per questo e ci ha promesso di realizzare un giorno la comunione piena tra tutta l’umanità e Lui stesso). Per questo ci siamo fatti aiutare da alcune pagine di Jean Vanier e Tonino Bello…ma soprattutto dalle belle testimonianze di vita che abbiamo incontrato!

Comprendere il valore della fraternità come luogo di vita, di guarigione, di realizzazione e infine (anche se è l’inizio) come luogo voluto da Dio ci ha creati a Sua immagine (cioè immagine del Pdre Figlio e Spirito Santo che sono un solo Dio!!…che bella comunità). Comprendere che le nostre comunità non vanno idealizzate, ma accettate come “corpi feriti” (Jean Vanier così le definisce)…come luoghi nei quali bisogna portare il peso l’uno dell’altro…come luoghi che solo alla “fine dei giorni” vedranno realizzata in pieno la Comunione che solo dall’Alto ci può venir donata.

In mezzo a mille imput certamente diversi, i nostri giovani penso che abbiano recepito “qualcosa di diverso” e nella bellissima condivisione che abbiamo fatto durante la celebrazione eucaristica conclusiva ce lo hanno dimostrato!

Grazie al Signore! Grazie a chi ci ha aiutati in questa esperienza (le nostre piccole sorelle anzitutto)! Grazie ai ragazzi e alla loro voglia di vivere!!

fratel Gabriele