Trascorriamo la sera e la notte nel Wadi Arba’inn dove arriviamo stremati dal cammino. Il wadi prende il nome dai quaranta monaci martirizzati all’arrivo delle bande saracene (numerosi eremiti al tempo della persecuzione di Decio tra il 249/251 d.C. si erano trasferiti intorno al monte Sinai). In realtà i martiri furono molti di più, ma venne scelto 40 come numero commemorativo per ovvi richiami biblici.

La serata è una splendida occasione per entrare nel quotidiano della vita beduina: si mangia per terra rannicchiati o stesi sul fianco attorno al fuoco, the e tabacco non mancano mai, si prepara da mangiare e si parla della giornata, rigorosamente senza orologi al polso, si dorme in tenda.

Al mattino, non appena il sole spunta sopra il Sinai la temperatura si eleva bruscamente e bisogna alzarsi per non friggere…in cottura troviamo invece il pane beduino su un fondo di latta arrugginita (ma è molto buono) per una colazione che deve darci energie sufficienti per affrontare i 900 metri di dislivello: la meta è il Djebel Caterina, 2642m, la vetta più alta del Medio Oriente.

Il silenzio si fa ancora più intenso perché attraversiamo un cammino non turistico tra pareti rocciose di vario tipo dove dominano, però, i colori nero e rosso che danno l’idea di un monte infuocato, o se vogliamo di un roveto ardente…al solleone di mezzogiorno eccoci in cima: il panorama è mozzafiato e spazia fino al mar Rosso all’orizzonte. Le tre ore di sosta ci permettono sia di pregare in serenità sia di conoscere meglio la nostra guida: Hussein si è sposato da non molto ed ha un figlio di due anni e mezzo, Abdul, che tradotto significa servo (di Allah), ma il padre ci dice che va inteso come “colui che prega”. Ci confida che non ha intenzione di sposare altre mogli: «Altrimenti la prima si arrabbia!». Il discorso finisce sul celibato, ci risponde che: «Allora dovete riflettere molto bene prima di decidere», ma allo stesso tempo ritiene che la vita religiosa, così come l’ha conosciuta dai monaci del monastero, deve essere molto bella e che è un bel segno per il mondo.

Interrompiamo la preghiera dei salmi al sessantanovesimo:

“…Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, la terra tremò, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai, davanti a Dio, il Dio di Israele. “Pioggia abbondante riversavi, o Dio, rinvigorivi la tua eredità esausta. E il tuo popolo abitò il paese che nel tuo amore, o Dio, preparasti al misero…”

Discendiamo rapidamente – la strada è lunga – per giungere prima del tramonto nel Wadi Shag a circa 1800 metri di altitudine dove, accolti nel giardino di una famiglia gentile e serena, ritroviamo anche Paolo: possiamo così festeggiare il suo anniversario di ordinazione presbiterale con l’Eucaristia celebrata all’aperto, tra pareti rocciose, fiori e albicocchi. Sì, perché nei wadi ombrosi si tocca con mano che anche i deserti più aridi possono fiorire…

Dopo la seconda notte all’aperto, benedetta da una stellata magnifica, ci dirigiamo nel Wadi El Hrezi per celebrare la S. Messa: il luogo è particolarmente significativo poiché preghiamo in mezzo a dei romitori ricavati nei buchi delle rocce, dove gli eremiti hanno si sono stabiliti nel III-IV sec. prima ancora della costruzione del grande monastero. Torniamo per una breve colazione nel garden della famiglia di Abu Masaud e cominciamo la discesa verso il Wadi Raha. Giunti al villaggio di El Malga un pulmino ci aspetta per condurci a visitare l’ormai famoso monastero di Santa Caterina: è un reticolo fitto di edifici circondato da mura imponenti; ancora oggi vivono in questo luogo venticinque monaci greco-ortodossi di tre nazionalità differenti. La tradizione e la fede collocano qui tre luoghi importanti: il pozzo di Ietro-Reuel (Es 2,16-21), il suolo Santo dove Dio e Mosè hanno conversato ed il roveto ardente (Es 3).

Nonostante i turisti è possibile pregare in silenzio nella chiesa, anche se non ci è permesso di vedere e toccare il suolo Santo. La chiesa, il cui campanile quasi sfiora il minareto della moschea interna, contiene inoltre le spoglie di Santa Caterina d’Alessandria venerata anche dagli Jabaleya musulmani: il 7 dicembre (calendario giuliano) sul Sinai è quindi festa comune cristiano-musulmana.

All’una del sabato è quindi ora di intraprendere il viaggio di ritorno. Portiamo nel cuore la Parola abbondante, vivificante di queste giornate, la lode per le meraviglie che il Signore opera nel creato, la gratitudine per i nostri fratelli beduini. Ci affidiamo all’intercessione di fr. Charles, Mosè ed Elia affinché possiamo essere sempre più in ascolto della Parola del Signore: «Ascolta, Israele…»!

Giovanni Marco

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