Sabato 11 novembre, a conclusione del nostro V Capitolo generale, abbiamo avuto la gioia di accogliere per l’eucaristia ed il pranzo il card. Angelo De Donatis. Condividiamo volentieri la sua omelia sul Vangelo del giorno (Lc 16,9-15).

 “Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).

        Dopo la parabola dell’amministratore infedele, Luca raccoglie alcuni detti di Gesù sul tema del rapporto con le ricchezze. Il cuore del discorso è la contrapposizione tra Dio e la ricchezza. Non si tratta solo del possedere o del fruire dei beni, ma di quella forma di idolatria per cui la ricchezza diventa la preoccupazione totalizzante, tanto da rendere impossibile servire Dio. 

            Dio non vuole che viviamo nell’ambiguità e cioè che possiamo anche solo pensare che si possa servire lui e contemporaneamente lasciarci dominare dal nostro egoismo e dallo spirito del mondo, che ci spinge alla ricerca del benessere personale, del possesso dei beni, del prestigio.

            Gesù ammonisce: “Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole”, il Discepolo è chiamato a conversione, a mettere Dio al primo posto e a Lui solo rendere culto; e poi a riordinare le priorità della vita.

            Carissimi Piccoli Fratelli di Jesus Caritas, l’esperienza del capitolo di questi giorni vi ha fatto sentire grati per il cammino compiuto ma anche più poveri riconoscendo che tutto è riposto in Dio. Essere poveri infatti significa essere persone di speranza. 

            Solo il povero spera. Chi ha risolto tutto si aspetta solo che le cose non cambino, per non dover mettere in discussione le conquiste.

            Da poveri attendiamo con fiducia l’avvento di Dio e del suo Regno, certi che come lui è presente nell’oggi della nostra esistenza, lo sarà anche domani.

            Noi non speriamo che Dio ci aiuti, ma speriamo in Dio che ci aiuta.

            La speranza è la fede proiettata nel futuro. Quello che trasforma la fede in speranza è proprio la povertà. Infatti riconoscendoci limitati e mancanti davanti alla precarietà che ci circonda, tutti scopriamo di avere bisogno che il Padre ci soccorra ancora con la sua provvidenza.

            Il povero è colui che non ripone la sua certezza nelle cose che già ha, ma aspetta dalle mani del Signore l’essenziale che spera. L’oggi è fluido, il domani di Dio è certo.

            Per noi la povertà tocca certamente la gestione delle risorse, la condivisione con i bisognosi, ma soprattutto – a un livello più profondo – interpella il nostro essere uomini, creature e affrontiamo perdite. Più andiamo avanti con l’età e più vediamo che ci vengono meno alcuni affetti (… le perdite) o le cose a cui tenevamo maggiormente, anche a livello di comunità.

            Arriverà anche per noi l’ora in cui saremo chiamati alla più assoluta povertà: quando moriremo. 

            Se rimettiamo il nostro sguardo con intensità su quello del Signore Gesù, che fissa con amore ogni uomo, desidereremo essere poveri. Egli da ricco che era si è fatto povero, per arricchire noi con la sua povertà.

            Annunciare il Vangelo non è questione solo di contenuti ma di stile: è costitutivo dell’annuncio stesso (chiamati a tradurre il volto di chi ci invia).

            Ogni giorno quando celebriamo l’Eucarestia, nel pronunciare le parole: “Questo è il mio corpo dato per voi” entriamo di nuovo nei suoi sentimenti. Nell’Eucarestia siamo chiamati ad accettare una spogliazione personale i cui contorni a volte non ci sono chiari, ma che certamente ci condurrà fino all’atto supremo del morire con Cristo.

            Chiediamo la grazia di essere poveri, piccoli in modo che tutta la nostra esistenza possa gridare il Vangelo.

            F. Charles ha voluto gridare il Vangelo nel silenzio, vivendo nello spirito di Nazaret, in povertà e nascondimento.

            “Nel deserto giunge come amico e fratello portando la certezza di Gesù-Eucarestia. Lascia che sia Gesù ad agire silenziosamente convinto che la “vita eucaristica” evangelizzi. Crede infatti che Cristo è il primo evangelizzatore. Così sta in preghiera ai piedi di Gesù davanti al tabernacolo per diverse ore al giorno, certo che la forza evangelizzatrice sta lì e sentendo che è Gesù a portarlo vicino a tanti fratelli lontani” (Papa Francesco).

            Perdere tempo davanti al tabernacolo convinti che il nostro servizio trova lì nell’adorazione il suo inizio e il suo compimento.

            Il vostro carisma è profezia per il nostro tempo: S. Charles ha testimoniato la bellezza di comunicare il Vangelo attraverso l’apostolato della mitezza. “servitore di uno che è molto più buono di me”.

            Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i più lontani. Pian piano questi legami generano fraternità. La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso. E con il sorriso, con la sua semplicità F. Carlo faceva testimonianza del Vangelo. Non dobbiamo aver paura di essere poveri: Cristo ci rende degni pur sapendo di non esserlo, anche se insufficienti, limitati, poveri, per confidare solo in Dio, fratelli tra fratelli chiamati a vivere solo per lui e per la gente. 

            Amen.