«Con una riflessione non scontata sulla presenza di Dio nella storia e sul ruolo importante di chi lo cerca Benedetto XVI ha offerto ad Assisi un contributo importante per appianare, secondo l’immagine biblica, la via della pace. Un cammino accidentato e disseminato di difficoltà troppo spesso sanguinose – indegne dell’uomo e che oltraggiano Dio – ma che gran parte dell’umanità sogna e vuole percorrere.

Come hanno con semplicità mostrato moltissime persone assiepate nelle stazioni di Terni, Spoleto e Foligno per salutare il Papa e le delegazioni che l’hanno accompagnato» (L’Ossevatore romano, 28 ottobre 2011).

Il passaggio del “treno di Dio” ha coinvolto, direi in modo indiretto, anche la nostra fraternità. Di fatto l’evento di Assisi non ha riguardato solo i rappresentati maggiori, perché una serie di piccole iniziative, di dialogo concreto, che si sono svolte qua e là stanno ad indicare che molto è stato fatto e molto di più rimane da fare. Martedì 25 sera, ho accompagnato fratel Gian Carlo a Spello  per parlare a un piccolo gruppo internazionale di giovani anglicani, ortodossi e cattolici che, insieme, si sono recati in pellegrinaggio a piedi da Loreto alla città del Poverello. Guidati dai propri presbiteri questi giovani stanno cercando di conoscersi, “strada facendo”, partendo proprio «da quello che ci unisce e non da quello che ci separa». La sosta al conventino di San Girolamo, luogo significativo e simbolico per quanto riguarda i temi dell’accoglienza e la fraternità universale, ha dato occasione ai partecipanti di ascoltare “una parola” sul messaggio spirituale di Charles de Foucauld e la testimonianza di fede di Fratel Carlo Carretto.

 

È chiaro che in tale contesto le parole scritte da frère Charles nel 1902: «Voglio abituare tutti gli abitanti del luogo, ebrei, cristiani, musulmani e idolatri a considerarmi il loro fratello, il fratello universale» risuonino cariche di profezia e di speranza per l’oggi e soprattutto per il domani.

 

In sintonia con quanto sto descrivendo possiamo inserire la visita a Sassovivo di un folto gruppo della parrocchia di Santa Francesca Romana (Milano), accompagnati dal parroco don Giorgio Riva. Nel profondo del cuore di tanti veri credenti vi è la convinzione che senza un autentico dialogo fraterno il cristianesimo ha poco da dire a se stesso e niente al mondo intero. Chi è diffidente non ha tutti i torti perché le cose nuove comportano sempre dei rischi, ma Meister Eckhart diceva che non si raggiunge la verità se non attraverso centinaia di errori lungo il cammino. Ma un vero credente deve saper essere critico e allo stesso tempo necessita di essere profondamente radicato all’interno della sua comunità.

 

Ci sono poi tanti esempi concreti di quel “dialogo della vita” portato avanti dalla gente comune che con semplicità  – come le folle alle stazioni per salutare il Papa e i suoi ospiti – ci dicono che non è utopia vivere insieme senza mettere a rischio le nostre diversità. Un caso “eclatante” viene da Nazaret: in occasione del Capitolo generale che abbiamo celebrato il mese scorso, i nostri fratelli, non volendo privare i pellegrini dalla visita alla cappella di frère Charles, hanno chiesto prima agli amici Fabio e Alfredo e poi al nostro carissimo amico Enrico di custodire la casa durante la loro assenza. All’indomani della partenza dei fratelli un papà musulmano ha saputo che Enrico era rimasto solo in fraternità… Ebbene, da quella sera fino al ritorno dei piccoli fratelli qualcuno della famigliola musulmana si è presentato puntualmente portandogli la “pappa” già pronta!

Un vero dialogo (conversation) – sostiene Timothy Rdcliffe – non è possibile senza conversione (conversion): le due parole hanno la stessa radice. E tutti noi veniamo convertiti a patto che il dialogo sia autentico. Se io entro in dialogo con un musulmano o un ateo, è nella speranza che tutti e due ci convertiamo; oppure ci auguriamo che io diventi un miglior cristiano ed egli un miglior musulmano!

Fratel Oswaldo