giorgio la pira annunciazionePrima di tutto il silenzio

Fioretta Mazzei. Segretaria di La Pira

Nel 1996 Firenze si è gemellata con Nazaret.

Ogni 25 marzo, la Chiesa fa memoria liturgica dell’Annunciazione a Maria, cioè del concepimento verginale del Figlio di Dio nel seno della Madonna.

A qusta data, fin dal Medioevo, Firenze è stata sempre molto legata: tanto che, come tutti sanno, anche l’anno civile cominciava a partire da essa.

Nel nome di Maria, Fioretta volle unire, con intuito davvero teologale, Firenze, città della Santissima Annunziata, con Nazaret, città dell’Annunciazione, promuovendo un gemellaggio civile e religioso che fu siglato ufficialmente, dal sindaco Primicerio e dal cardinale Piovanelli, nel 1995.

Per scendere nelle profondità del significato di fede del gemellaggio e della visita del Santo Padre, riproponiamo lo splendido articolo che Fioretta scrisse allora.

DSC_0037Dal tanto desiderio è arrivato finalmente questo gemellaggio con Nazaret. I pensieri che suggerisce: prima di tutto, il silenzio. Dal silenzio di Maria Annunziata al lungo silenzio di Gesù artigiano e lavoratore. Il silenzio senza pubblicità, silenzio del quotidiano. Il silenzio costruttivo del carattere e della personalità, ma soprattutto dei colloqui con il Padre. La preparazione: la non necessità di rendere il tempo urgente. I giorni di lavoro per Gesù, ben oltre l’adolescenza. [Charles de] Foucauld fu tanto colpito di questo aspetto di Gesù. Stette a servizio delle suore clarisse a Nazaret, lungo la strada centrale del villaggio, per capire. Non scelse però una clausura ma una adesione silenziosa a una vita normale, povera, nella preghiera. La povertà di Maria, di Gesù e di Giuseppe, così dignitosa, così giusta (la veste senza cuciture tessuta a Nazaret). La santa casa piccola e raccolta, di proprietà. Gli elementi di lavoro, e lo studio. Il tempo della parola di Dio studiata e amata, come un vero ebreo; e la Madonna prima, come una vera ebrea. Qualcosa di più. Come una particolare ebrea: l’attenzione alle cose di Dio. E l’attenzione alla natura, alla vallata sotto Nazaret, alla fecondità della terra, il monte davanti, in lontananza, che sarà il luogo della trasfigurazione. «Cosa può venire di buono da Nazaret?» si domandano. Ma da Nazaret viene tutta la preparazione alla vita mistica e artistica di Gesù. Le parabole nascono da quell’esperienza: vita di osservazione contadina, vita di paese. Gesù totalmente immerso in quell’ambiente. Fa parte di quella terra, e non di un’altra.

Il secondo punto è allora la partecipazione alla vita di tutti, alla vita del paese, e in quegli anni, di paese. Quel quotidiano a cui quando si chiede, di solito viene risposto: che fai? Ma, niente. Che succede? Niente. Che c’è di nuovo? Niente. E invece è la vita, così, come sembra, senza storia; e invece è la storia a cui la variante è l’eccezione e, talvolta, anche il culmine, un po’ la sintesi a cui il quotidiano ti ha portato.

Luca che intervistava Maria: «Ma cosa si ricorda?» (a lei che conservava in cuore tutto quel quotidiano misterioso), «Cosa è avvenuto in tutto quel tempo?». E Maria, che ha rivelato a Luca il mistero dell’Annunciazione (che attraverso la parola di Luca si è diffusa in tutto il mondo nella pittura e nella meditazione di 20 secoli), cita due episodi di Gesù, chissà, forse anche il secondo è raccontato da lei, visto che è connesso con il primo.

DSC_0358Racconta di questo ragazzino partito da Nazaret per la sua maggiore età, questo ragazzino che risponde e puntualizza: «Non sapevate che dovevo occuparmi delle cose del Padre mio?». E poi il discorso programmatico di Nazaret di Gesù nella sinagoga, che è lo svolgimento dell’annuncio della sua vocazione, quella che da Isaia gli ebrei attendevano: «I ciechi vedono, gli zoppi camminano e la buona novella è annunziata ai pover». Ai poveri uomini, si direbbe oggi, per tutti. Una notizia di consolazione e di speranza, di dolcezza ma anche una notizia forte, di coinvolgimento radicale. Ha rovesciato i potenti e ha innalzato gli umili. Ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Gesù è figlio di Maria, è stato educato da lei, lì a Nazaret. Ha imparato da lei queste cose che misteriosamente le aveva già lui comunicate quando viveva nascosto nel suo seno. La storia di Abramo fino alla fine dei secoli.

È questo il terzo punto della maturazione di Nazaret già osservata fin qui. Da Abramo, come indicato nel magnificat. A tutte le nazioni nessuna esclusa che «la chiamavano beata». Da Isaia con Gesù alla propagazione di questa storia, in maniera pacifica e buona «guarendo» ciechi e zoppi e «sanando» la complessiva visione politica: non più armi, ma aratri, progetto definitivo per l’umanità fino alla fine dei giorni; non l’oppressione e la morte che ne deriva, ma la libera scelta per la piena fioritura della terra per tutti gli uomini.

Per questo una meditazione su Nazaret dal suo iniziale immenso mistero storico prosegue, e Nazaret è in qualche modo protagonista: in quell’incrocio di popoli di oggi continua una lezione di convivenza e di possibilità di pace. Quella quercia simbolica di Mamre, poco distante, che accolse gli ospiti sconosciuti di Abramo, ha accolto di nuovo, nel suo provvidenziale progetto, popoli nemici che si sono tesi la mano seduti vicino per firmare; e questo alla fine del ’94, poco più di un anno fa. Da allora la storia ha camminato ancora anche in mezzo ai più duri sacrifici (morte di Rabin) perché agli occhi del mondo sia unita e benedetta la terra di Gesù, annunziato a Nazaret.

Ed io, con la mia storia di fiorentina così coinvolta e attenta, dagli anni di La pira, mi sono particolarmente commossa.