Il prossimo 4 ottobre ricorre il trentesimo della morte di Carlo Carretto, “il profeta di Spello”. Stiamo preparando il numero della rivista Jesus Caritas che sarà dedicato a lui. Vogliamo anticipare qui qualche passaggio di uno dei contributi…

Un’eredità per il laicato

Chi ha imparato e molto, e chi deve ancora imparare dagli scritti di Carretto sono soprattutto i laici della Chiesa.
Tanto era amabile, materno, piccolo, debole, fragile nei suoi libri, tanto era forte, vigoroso, per niente prudente, a tratti oserei dire temerario, quando scriveva al popolo di Dio.
Una specie di condottiero rivoluzionario, suo malgrado, che piaceva molto ai giovani del dopo Concilio e del dopo 68.
In scienza si dice che il comportamento umano è un mix tra il Dna e l’Ambiente in cui si vive. Il comportamento di Carretto era un mix tra l’uomo laico organizzatore nazionale dei giovani di Azione Cattolica e il religioso organizzatore di fraternità dei Piccoli Fratelli.
Penso che il suo Dna fosse la Laicità.
In quegli anni molti giovani rispolveravano il pensiero di Nietzsche, “Dio è morto”, e lo si cantava con Guccini e i Nomadi in piazza e nei cortei.
Dio è morto ma poteva risorgere, vivo più che mai, negli angoli delle strade sperdute, nei poveri dimenticati, nella lotta per le ingiustizie nel mondo.
E chi poteva farlo rivivere in questi luoghi meglio dei laici? Chi poteva farlo meglio dei giovani cercatori e desiderosi di altre rivoluzioni?
Cantare e rivivere il Magnificat, scaturita dalla voce della Laica per eccellenza.
Che magnifica avventura e rivoluzione per dei giovani laici, assetati di assoluto.
Non il laico a difesa delle istituzioni religiose come se queste fossero circondate da nemici sempiterni e pericolosi, non il laico a difesa di chissà quale ideologia tanto cara agli intellettuali del “prepariamoci e partite”.
Ma una Chiesa di laici popolo di Dio, gente affianco a gente, laici consapevoli della povertà personale prima di tutto e che sanno farsi carico della povertà altrui. Di tutte le povertà.
Si scontrò con il suo maestro e amico Gedda per questo. E dei Comitati Civici.
Fu per fortuna sua e per Provvidenza di Dio la sua prima grande prova e crisi, abbandonando impegni, attività, familiari e amici cari.
Tanti indirizzi nel suo famoso taccuino che bruciò nel deserto del Sahara.
Solo a tu per tu con il silenzio di Dio.
L’attivismo veniva purificato, ne doveva venire fuori le attività.
Perché questa è una delle più subdole tentazioni anche del Laicato che si ritiene maturo.
Fare le cose per Dio conduce a strade pericolose sempre, l’uomo vecchio è sempre in agguato. Fare le cose in Dio ha passi molto più lenti, ma è l’uomo nuovo che li fa. Il deserto insegna questo.
Nei suoi articoli sulla stampa Carlo Carretto ha sempre sferzato il clero e ammonito i laici sull’intendere la Laicità, prepotentemente messa in rilievo ed in modo entusiasmante dal Concilio.
Sulla laicità ne è stato uno dei precursori, assieme a tanti altri di questa meravigliosa stagione, chissà perché all’inizio difficilmente capiti dalla Chiesa.
Ancor prima il beato Newman tratteggiava gli aspetti della Laicità: il laico maturo e preparato che sa delle Sacre Scritture e della Chiesa e che sa delle cose del mondo, che le legge, le interpreta, le realizza in Dio.
In parole più semplici, come fa il maestro elementare con i bambini, Carlo Carretto ammoniva i laici imitatori di preti, frequentatori di sagrestia, signorsì dei parroci, invitandoli a una seria corresponsabilità nel mondo.
E ancor di più e nel contempo usava parole più dure al clero a cui conveniva di avere siffatte persone attorno e buoni solo a far numero e truppa.
I laici come “Il proletariato dello Spirito” scriveva con arguzia il laico e servo di Dio, Igino Giordani.
Carlo Carretto amava la Chiesa e amava tutta la società ben consapevole che non a tutti è stata data di avere la stessa fede, la stessa convinzione, lo stesso credo. La Chiesa deve porsi in dialogo diceva Paolo VI.
Dialogo significa anche capire, intendere, rispettare.
È per questo amore e rispetto e nulla altro che prese posizione con un duro articolo sul quotidiano la Stampa , per i fatti sul divorzio.
La fede non è un obbligo, ma a chi è stata data la grazia di averla ha il dovere di amare tutti, per prima, anche e più se fossero dei nemici.
La Fede non è mai costrizione ma dono.
Confesso che mi addolorò molto ma per Lui, per il bene che gli volevo, perché si può voler bene anche a uno scrittore attraverso la letteratura, per tutte le incomprensioni e le strumentalizzazioni che ne scaturirono per questa vicenda.
Ma anche qui fu di comportamento esemplare ai laici.
La posizione e il rapporto maturo dei laici nella Chiesa presuppone che si abbia una propria idea costruita, un pensiero da dire anche se costa.
Un pensiero prima di donarlo e perderlo per amore bisogna che si abbia, non siamo delle zucche vuote. Siamo unici e inimitabili.
È questa la autenticità di un rapporto. E i rapporti bisogna costruirli.
Poi spetta alla Chiesa l’ultima parola, ma solo dopo tante e tutte le altre, così dice Bettazzi, l’ultimo testimone del Concilio.
E ci riconsegna a mani nude, ad anima vuota, chiedendo perdono.
Perché senza la Chiesa ci sentiremmo sperduti.
È questa l’eredità di Carlo Carretto lasciata ai laici.

Leonardo Angelillo