La festa di Cristo Re, può forse illuderci sulla natura di questa regalità e sulla natura della salvezza che Gesù è venuto a portarci; non è un messianismo temporale, una potenza umana, non è abbondanza di beni materiali, ma è l’abbondanza della misericordia, del perdono, del “super-dono” che è l’amore.

Non è con l’autorità del Vangelo che si possono risolvere situazioni terrene: è doloroso, a volte, mantenere nel silenzio la voce del Vangelo davanti a delle ingiustizie, all’egoismo e compromettere invece se stessi nella loro soluzione, basandosi sulla propria autorità, perché gli altri non saprebbero accettare la volontà di Dio, a cui non credono. Ciò non sarebbe disinteresse da parte nostra, per le realtà materiali, ma sarebbe non voler chiudere Dio nel nostro mondo.

I cristiani spesso dimenticano la carità e l’amore per parlare di giustizia: Cristo non è venuto a trasformare situazioni umane, ma a condividere con gli uomini quelle in cui essi si trovano.

Gesù diede, con un miracolo, il pane alla gente che aveva fame, ma quando vennero per farlo re, si nascose e, il giorno dopo, richiamò tutti al vero motivo della sua venuta: «Voi mi cercate non per i miracoli, ma perché avete potuto mangiare. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna, quello che il Figlio dell’uomo vi darà».

La buona novella non è una dottrina ma è una persona che non si può «dimostrare», ma solo «mostrare».

Forse chi si avvicina a noi cristiani può costruirsi un falso concetto della natura della redenzione di Cristo; a volte possiamo dare l’impressione che il cristianesimo abbia una prospettiva terrena, vorremmo dimostrare che Cristo può risolvere ogni problema anche di ordine pratico, in ogni momento. Non pensiamo a sufficienza alla responsabilità che abbiamo di mostrare che Cristo è venuto a portare un’altra salvezza, anche se non vuole, con questo, che dimentichiamo la nostra responsabilità umana. Certamente crediamo alla onnipotenza regale di Dio ed è doloroso per noi accettare che il Signore non la usi per imporsi nel mondo.

Gli uomini chiedono miracoli, vogliono degli choc, per accettare il Cristo; vogliono vederlo scendere dalla croce, allora gli crederanno; vogliono che si getti dal pinnacolo del tempio, davanti a una grande folla, e allora lo riconosceranno; e tutto ciò anche se Gesù dice: «che non è lecito tentare Dio».

Volere queste conferme non è credere alla sua presenza tra gli uomini, alla sua bontà, al suo amore per loro: significa non accorgersi dell’amore. Chiedere a Dio di mostrare la sua presenza attraverso dei segni che non siano quelli dell’amore è offenderlo perché l’amore traspare in modo evidente attraverso tutto quello che egli compie.

Dio è re d’amore; si manifesta e si rivela amando: infatti non si è definito l’Onnipotente, ma l’Amore onnipotente, che rispetta la libertà umana, che non si impone mai, ma si propone.

Cosicché l’incontro di Dio con l’uomo avviene sempre nell’unico modo compatibile con la libertà umana. E l’uomo può così donarsi. Infatti è sempre e solo di fronte all’amore che ci si dona, mentre di fronte alla potenza ci si piega.

Dobbiamo accettare la povertà dei mezzi umani, perché «la stoltezza umana è sapienza di Dio, la debolezza del mondo è fortezza di Dio»; questo modo di vivere porta sofferenze, ma la sofferenza genera redenzione.

Il nostro regno, come quello di Gesù, non dovrà essere costruito su questa terra e neppure, con i mezzi terreni, preparare il regno dell’altro mondo. Cristo riceve la regalità da suo Padre: non saremo noi a dargliela col risultato di imprese umane, confermate da Dio; a noi non resta altro che sottometterci umilmente e amorevolmente. II regno di Dio non si costruirà con la forza delle armi, ma con la potenza dell’amore e del servizio nostro verso tutti.

fratel Gian Carlo jc