Mi piace scrivere su dei foglietti delle frasi che mi hanno colpito particolarmente e custodirle nella Bibbia. È ormai qualche hanno che ho copiato questa affermazione di Enzo Bianchi: “Sono sempre convinto che noi monaci lasciamo il mondo, ma portiamo con noi la mondanità, mentre l’evangelo chiede esattamente l’opposto: abbandonare il modo di pensare mondano e farci carico degli uomini, di quel mondo che Dio ha tanto amato”…è da talmente tanto tempo che giace nella mia Bibbia che non ricordo da quale libro è tratta e tantomeno se le sottolineature corsive sono dell’autore o del “copista”!!…Ma questo credo abbia poca importanza.
In questi giorni pregando mi è ritornata in mente e l’ho riletta con occhi nuovi…forse cogliendola in modo più profondo di quanto non avessi fatto fin ora.
Il fatto è che spesso mi trovo a pensare che nelle mie giornate “faccio” il prete per pochissimo tempo e soprattutto vengo “cercato in quanto prete” ancora meno. Questa cosa a volte mi deprime…ma solo per pochi secondi anche perchè sono allegro per costituzione e questo mi fa sempre trovare il lato bello delle cose che sempre esiste in ogni situazione. Comunque per quei pochi o tanti secondi butterei tutto a mare.
Provo a spiegarmi meglio: distinguo nella mia esperienza tre livelli: primo sono piccolo fratello, secondo sono prete, terzo sono parroco (e in quanto tale “gestore” di determinate strutture e attività).
Come gestore di sale, animatore di bambini, organizzatore del catechismo, pagatore di bollette, donatore di pacchi alimentari, celebratore di Sacramenti vari ed eventuali sono abbastanza ricercato (escluso per il Sacramento della Riconciliazione!!).
Come prete…raramente vengo “contattato”.
Come piccolo fratello non vengo praticamente considerato se non sono io a ricordarlo alla gente!
Questa situazione, come ripeto, mi causa una leggera e passeggera depressione.
Quando sento dire che sono stato bravo per aver fatto studiare un tendone da montare all’esterno della chiesa che è piccola, per aver avuto duecentocinquanta bambini all’Oratorio estivo, perchè faccio fare i compleanni nelle strutture parrocchiali senza chiedere una quota fissa…e via dicendo, mi dico che per fare questo non serviva un prete (ed è verissimo).
Passo le giornate tra incombenze varie che poco o nulla hanno a che fare con quella che ritengo essere la vocazione presbiterale.
Ed ecco che immerso in questi pensieri ho riletto la frase di Enzo Bianchi. Non è lasciando fisicamente il mondo che si lascia la mondanità. Non è facendo solo “cose Sacre” che si lascia la mondanità. Anzi, Gesù ha proprio scelto l’immersione nel mondo con tutte le sue contraddizioni come via.
Ha giocato, ha riso e pianto, è cresciuto, ha avuto amici e nemici, ha sofferto, ha sperimentato le contraddizioni. Per questo si è sentito dire dai suoi che era fuori di sé (Mc 3,21), si è sentito cercato solo perchè moltiplicava il pane (Gv 6,26), si è meravigliato dell’incredulità dei suoi discepoli (Mc 6,6)…e chissà quante altre situazioni simili avrà sperimentato. Ebbene Gesù non ha detto: “dal momento che sono il Figlio di Dio non è bene che faccia il falegname, che da piccolo faccia il ruttino dopo mangiato, che mi senta sfruttato come un santone anziché riconosciuto per quello che sono”.
Gesù ha portato se stesso nel mondo fino in fondo, solo che non è appartenuto al mondo (come ha spiegato la sera dell’ultima cena in Gv 17,14 e dintorni).
Allora il mio problema non deve essere tanto a livello esteriore, a livello di attività, ma a livello interiore: pur essendo immerso nel mondo, sono emerso dalla mondanità?
Per Enzo Bianchi questo pericolo può appartenere al monaco classico che vive fuori dal mondo…figuriamoci se non può essere tale per il piccolo fratello che fa dell’ambiente in cui vive il suo monastero!
Credo allora che la cura non stia nel prendersela con le cose che faccio o su come vengo percepito, ma stia nell’allargare il mio sguardo sull’eternità di Dio e della vita che ci promette.
È un problema da risolvere durante l’adorazione Eucaristica che ha proprio questa funzione di finestra sull’eternità che apre i nostri cuori e i nostri sguardi sul Regno di Dio.
Scriveva Renè Voillaume: Condizione assoluta per la piena realizzazione della nostra vocazione di Piccolo Fratello è il restare vicini al mistero della vita umana nella sua grandezza e debolezza, in mezzo alle nostre città disumanizzate dove la tecnica cancella a poco a poco ogni senso della presenza e dell’azione del Creatore della Vita.
Riuscire a dare come fraternità questa testimonianza dell’Assoluto , aprire alla Vita vera, allargare lo sguardo dal mondo al Regno di Dio deve dunque diventare il nostro primo compito.
fratel Gabriele