I vangeli di Matteo e Luca ci testimoniano che, dopo i fatti legati alla nascita e alla fuga in Egitto, Gesù con la sua famiglia si stabiliscono  a Nazaret, e qui il Salvatore ha vissuto i lunghi anni della sua vita nascosta. In questo paese sperduto e modesto ha vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, accompagnato dalle amorevoli cure dei suoi genitori. Possiamo tranquillamente immaginare Maria e Giuseppe  che, attraverso il loro esempio e il loro spessore umano, educano Gesù ai veri valori, lo iniziano alla preghiera in sinagoga ed al pellegrinaggio al Tempio, lo accompagnano nella lettura e nell’ascolto della Torah, il libro della Legge di Dio, come un messaggio d’amore che l’Altissimo ha rivolto ad ogni suo figlio.

Possiamo inoltre pensare al suo percorso di crescita tra i vicoli e i prati scoscesi delle colline della Galilea, mentre corre e gioca con i suoi amici, mentre si lascia educare dalla vita stessa e dalle relazioni. A questo proposito, i vangeli apocrifi rappresentano tutt’ora un primo tentativo da non sottovalutare.

In quelli canonici, a dodici anni si accende momentaneamente una luce sulla vita di Gesù e veniamo a sapere di un pellegrinaggio che egli fece con la sua famiglia verso la Città Santa. Brevi parole, pochi versetti, che però ci descrivono la forte personalità del Figlio di Dio e la chiarezza di idee sulla vita e, per quanto poteva comprendere un dodicenne, della sua identità e missione.

Il  fatto è noto: Gesù, dopo la salita al tempio, si defila dalla colonna di persone che riprendevano il viaggio verso il nord, per rimanere con i dottori del Tempio. Luca ci riporta, sinteticamente, l’episodio mettendo in evidenza l’angoscia dei genitori che non trovano più il loro figlio e si mettono in ricerca di lui, per tre giorni.

“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (2,49). È la risposta diretta e tagliente di un ragazzino che ribatte al più che lecito rimprovero dei suoi.

Questa scena mette in evidenza la qualità delle relazioni di questa famiglia, fatte di apertura, di confronto e di reciprocità. Emerge con forza, come del resto è stato fin dal primo momento, che non solo Maria e Giuseppe rispondono ad una missione educativa nei  confronti di Gesù, ma è pure vero il contrario: Gesù educa e forma i suoi genitori in uno scambio quotidiano, fecondo e fraterno.

Qual è il messaggio che possiamo raccogliere dalle labbra di Gesù dodicenne in questo scorcio di vita familiare? Le sue parole esprimono il primato che il Padre e l’occuparsi di lui, delle sue cose, dovrà avere in tutti i giorni della sua vita. L’unico assoluto, che potrà determinare le sue scelte, il suo cammino, il suo futuro, sarà una persona, il Padre. Niente e nessuno potrà ostacolarlo in questo. Anche le relazioni fondamentali, che, normalmente, tengono in piedi la vita umana, sono relativizzate, sono messe in secondo piano rispetto a quella fondante con Dio. Per Gesù sembra urgente che i suoi genitori comprendano questo.

Se ci spostiamo sul piano della vita di ogni credente, queste dinamiche relazionali all’interno della santa Famiglia rivelano la struttura fondamentale della vita umana e costituiscono una traccia ed un obiettivo nel raggiungimento della maturità. L’uomo si presenta come un essere chiamato a “superarsi”, a sollevare lo sguardo, per trovare al di fuori di sé e di una semplice dimensione “orizzontale”, il senso e il significato del suo esistere.

È profondamente significativo che tutto questo avvenga al Tempio, il luogo che un giorno Gesù, quasi con violenza, richiamerà al suo valore originario, quello della preghiera per porre l’uomo di fronte a ciò che è davvero irrinunciabile: la sua relazione con l’Assoluto. Al Tempio erano saliti per incontrare il Dio altissimo e liberatore ed offrire a Lui l’incenso della preghiera. E proprio qui Maria aveva dovuto, qualche anno prima, suo malgrado, imparare cosa significasse che questo bimbo le era donato, ma non le apparteneva; sarebbe stato chiamato Figlio dell’Altissimo, ma qualche cosa di doloroso già si affacciava sul suo cuore materno. E questa dimensione sacrificale è pure richiamata dal contesto in cui avviene il viaggio, quello pasquale. La famiglia di Nazaret si reca ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.  Questo crea inevitabilmente un legame con quanto Gesù visse nella sua ultima pasqua a Gerusalemme, momento nel quale porterà a compimento le parole dette nella stessa città Santa a dodici anni: occuparsi delle cose del Padre suo.

Il primato del Padre nell’esistenza di Gesù si esprime particolarmente nella preghiera.  Nella nostra “vita di Nazaret” l’orazione, la celebrazione dell’Eucaristia, memoriale della Pasqua di Gesù, come anche i momenti prolungati di ritiro, sono elementi essenziali nella ricerca del volto di Dio che nel rivelarsi può creare qualche difficoltà al cuore diviso tra mille cose e mille preoccupazioni, che ancora non ha imparato mettere al primo posto il Padre, in vista di una vita quotidiana autentica e densa di significato.

fratel Marco