Avevamo fatto una promessa: presentare anche una zona della Terra del Santo abitualmente dimenticata nei programmi dei pellegrinaggi. Soprattutto per questioni di tempo. I più tenaci cercano di farci rientrare almeno i punti estremi: Safed e Akko.

 

Si tratta di una zona molto bella per il paesaggio che richiama il vicinissimo Libano. Ma anche interessantissima perché ricca di comunità cristiane, per lo più piccole ma salde nella fede e nell’amore. Esse dimostrano come si può vivere in rapporto di buon vicinato, di amicizia e di collaborazione con musulmani doc, drusi ed ebrei. E quando a volte questa convivenza sembra scricchiolare i migliori, spesso i capi comunità, si mettono con tenacia all’opera per far tornare la normalità.

 

 

Proprio in questi giorni abbiamo visitato alcuni luoghi dove si trovano queste comunità. Siamo partiti da Safed e abbiamo percorso la statale 89, la più a nord d’Israele.

Safed

Posta a 850 metri sul monte Kena’an è probabilmente la città che Gesù porta come esempio in Mt 5,14. Difatti è ben visibile da molte località della Galilea. Acquistò importanza dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70, perché qui si rifugiarono alcuni gruppi di sacerdoti e di studiosi della bibbia come i Tamma’im e gli Amora’im, tanto da venir considerata una delle quattro città sante dell’Ebraismo. Durante il periodo crociato fu una fortezza dei templari. Passata ai musulmani, durante il periodo ottomano vi si rifugiarono molti ebrei provenienti dalla Turchia, dall’Europa e del nord Africa e divenne centro della Qabbalà.

Agli inizi dell’ottocento una grande epidemia svuotò la città. Ripopolatasi lentamente gli arabi divennero la maggioranza ma le due comunità ebbero una buona convivenza, come attesta una lapide sulla spianata della rocca. Ma dopo il 1948 è divenuta una città ebraica con una grande presenza di religiosi.

La visita della città è interessante. Abbiamo percorso i quartieri askeniti e sefarditi dove abbiamo potuto assistere a un mini concerto piacevole e caratteristico e dove siamo entrati in una bella, antica sinagoga dove è stato facile trattenerci in meditazione. Simpatico e affollatissimo il quartiere degli artisti.

Da Safed ci siamo portati a Jish, l’antica Giscala, patria degli antenati di Paolo apostolo. La cittadina posta su un colle è circondata da frutteti. La maggioranza degli abitanti è cristiana maronita o melkita. La chiesa maronita è costruita sulle rovine di una antica sinagoga. Il ritrovamento di alcuni oggetti, oggi all’Israel Museum di Gerusalemme, attestano la presenza a Jish di una comunità giudeo cristiana dei primi secoli.

Biram

Poco lontano da Jish c’era Biram, il villaggio cristiano maronita completamente distrutto nella guerra del 1948 e invano cercato di poter ricostruire da parte dei suoi legittimi proprietari. Le famiglie trasferitesi a Jish ancora oggi portano i loro morti nell’antico cimitero rimesso a nuovo, unico pezzo di terra che è loro permesso occupare tra le vecchie proprietà. Vicino ai muri diroccati di Biram c’è un’area archeologica ben curata dove si ergono la facciata e parte delle pareti di una bella sinagoga del IV secolo. Sulla collinetta di fronte sorge la vecchia chiesa del villaggio e dietro, in mezzo agli alberi che vi sono cresciuti, le rovine di quello che doveva essere un ricco e grande abitato a giudicare dai resti che conservano tutto il loro fascino.

È possibile visitare i ruderi perché qualcuno con tenacia conserva liberi i viottoli che passano tra le antiche case. Perché la memoria della tragedia di quella comunità si perpetui.

Altri villaggi

Riprendendo il nostro itinerario scorgiamo ora tra il verde le abitazioni del kibbuz Bara’m.

Oltrepassata Sasa incontriamo Hurefsh, dove c’è una comunità melkita. Proseguendo tra una vegetazione quasi alpina, passiamo davanto al bivio per Bukeia e Rameh, l’antia Rama di Gs 19,36. La tentazione di imboccare la 864 è forte perché a Bukeia e a Rameh vi sono ottime comunità e a Rameh c’è una stupenda figura di presbitero  che, per porsi a servizio della chiesa di Gerusalemme, lasciò giovanissimo la sua famiglia e la sua terra veneta e nel seminario patriarcale di Beit jala, insieme alle scienze teologiche, apprese la lingua e la cultura araba. Don Ilario è l’ultimo di un gruppo di preti italiani che nella storia del patriarcato latino hanno lasciato un segno profondo di dedizione pastorale e di amicizia sincera ed ecumenica.

Il tempo ci costringe a proseguire verso Maalot-Tarshikha, ridente cittadina a popolazione mista e con una piccola comunità cristiana. Poco più in alto c’è anche il villaggio cristiano di Fasuta.

Eccoci infine alla piccola Mi’lya appollaiata su un colle in cima al quale c’è la chiesa parrocchiale. Il bel piazzale, che è circondato dai resti del vecchio castellum regis, è delimitato da colonne ornamentali. Il tutto dà risalto alla facciata in pietra e al suggestivo portale della chiesa costruita all’inizio dell’ottocento. L’aula liturgica ha la bella e caratteristica iconostasi e il soffitto a vele che ricorda l’architettura crociata. Alcune liturgie di questa parrocchia attirano cristiani da varie parti della Galilea.

Akko

Il tragitto termina ad Akko, la san Giovanni d’Acri, capitale del regno crociato e una delle più belle città d’Israele.

Il centro storico è circondato da bastioni ricostruiti sul tracciato crociato. Essi offrono scorci particolari sul mare, sulle coste fino ad Haifa e sul monte Carmelo. Alla città vecchia si può accedere da porte e vicoli, ma anche percorrendo un tunnel sotterraneo costruito dai templari e recentemente scoperto e reso agibile. Merita di essere preferito. L’ingresso è davanti al parcheggio dei bastioni e l’uscita porta al Khan el-Umdam, che rende bene l’idea di quello che erano i famosi alberghi orientali di un tempo. Proseguendo sulla destra ci si può affacciare sul bel porticciolo, mentre, prendendo a sinistra, si può iniziare la visita alla città. Il primo incontro è con il quartiere veneziano (ogni repubblica marinara e gli ordini militari avevano il proprio!). è ben conservato e all’interno c’è la Scuola di Terra Santa, tenuta dai francescani.

Viene poi il suk, il simpatico mercato, quindi seguendo strette viuzze si può raggiungere la cittadella Burj el-Kaznà (castello del tesoro). Nei sotterranei recuperati c’è la cittadella crociata, che presenta una delle attrattive preferite dai visitatori di Akko. Infine è possibile visitare la grande moschea, seconda solo all’al-Aksa di Gerusalemme. Costruita sugli spazi della chiesa crociata di san Giovanni merita una visita accurata, anche perché si è sempre ben accolti.

Oggi Akko è abitata da arabi (la città vecchia) ed ebrei (la nuova). Vi è una buona minoranza cristiana di latini, melkiti e maroniti. È anche la sede episcopale maronita della Galilea.

Itinerario alternativo

Abbiamo presentato uno degli itinerari che aiutano a capire la presenza cristiana in Galilea. Perché normalmente si pensa solo a quella di Nazaret. Ma c’è anche un secondo itinerario, più tortuoso nelle strade da seguire. Sta tra Nazaret e quello del nord che abbiamo descritto. Esso tocca le parrocchie melkite di Tur’am, Eilabun, Maghar, Deir Kanna, Arrabeh, Wadi Sallameh, Sakhnin, Jedaideh, Ibillim, Shafa’amr e, infine, Haifa, dove oltre ai latini vi sono i melkiti e la loro sede vescovile della Galilea.

In questo itinerario si incontra anche Lavra Netofa, sopra a Deir Hanna. Si tratta di un monastero voluto da Abuna Jacob, un’olandese che per circa quarant’anni è stato un faro di fede e di dialogo interreligioso con ebrei e musulmani. Alla morte del fondatore e dei suoi tenaci compagni sono subentrate le contemplative di Betlemme, dell’Assunzione e di san Bruno. Così il monte che è considerato uno dei possibili luoghi della trasfigurazione continua ad irradiare amore e speranza.

Fratel Alvaro