Vale la pena di parlare di un evento avvenuto di recente a Nazaret. Non tanto per la serata in sé, quanto per raccontare del personaggio che in essa è stato celebrato.

Si tratta del Patriarca emerito della Chiesa latina di Gerusalemme, Michel Sabbah. Forse non è troppo conosciuto in Italia ma si tratta di un vescovo che ha lasciato il segno nella storia di questa porzione di Popolo di Dio e, potremmo dire, nel Medio Oriente tutto.

L’evento rientra in quella categoria di celebrazioni che prende il nome di “festa di onorificienza”, in cui si rende omaggio ad una persona speciale che, attraverso la sua personalità e la sua opera ha appunto “onorato” una chiesa, una città, una nazione.

In tali occasioni intervengono diverse altre figure che celebrano la personalità in questione. In onore di Michel Sabbah è stato pure presentato un libro che racconta il suo percorso umano e spirituale, scritto dall’insegnante Badi’a Shahada Atiq, presente ovviamente alla serata.

Sono intervenute diverse persone tra le quali il vescovo mons. Marcuzzo che ha tratteggiato in poche battute l’alto profilo del patriarca emerito. A suo parere nell’opera e negli scritti di mons. Michel Sabbah si possono individuare tre principi fondamentali: l’idea dell’uomo creato ad immagine di Dio e la conseguente uguaglianza di ogni essere umano davanti a Lui, chiamato a camminare insieme agli altri nella costruzione di un mondo di pace. Proprio la parola “insieme” ritorna numerose volte nei suoi libri e nei suoi interventi, sottolineando come la comune condizione di uomini e di popolo debba determinare comportamenti e scelte all’insegna della pace e della mutua collaborazione. “Insieme”, tra l’altro, è il titolo degli atti del Convegno diocesano celebrato proprio nel periodo in cui Sabbah era patriarca della chiesa gerosolimitana. Il terzo principio è il principio della “sapienza” che si può esprimere nella capacità di discernere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato per battersi per i valori della verità, della tolleranza, della solidarietà e della pace. Il vescovo Marcuzzo ha riportato pure un’espressione del patriarca che, alla domanda di una giornalista sull’importanza della serata a lui dedicata, rispondeva che in questo caso “il messaggio è più importante del messaggero”.

E proprio su tale messaggio si è concentrato il suo intervento: “Un uomo di Dio è una persona che chiama alla preghiera ed alla speranza che può vincere la debolezza ed il mondo stesso. Il cristiano è colui che fa le stesse opere che Gesù ha fatto: “Chi crede in me, compirà le opere che io compio” (Gv 12,14). Non bisogna aver paura. Con la fede si possono vincere tutte le difficoltà e le paure” – e  qui il riferimento al Medio Oriente è stato molto esplicito.

“Il principe del mondo è presente e operante ma, se crediamo, non ha potere su di noi e si può arrivare all’estremo limite dell’amore, per il quale si dà la vita anche per chi ci uccide. È la forza dell’amore. Di fronte a chi lo ha schiaffeggiato, nella sera della condanna, Gesù non ha risposto con un altro schiaffo ma si è limitato a domandare: “perché mi percuoti?”.

Amare i nemici non significa amare il male che c’è in loro. Devo piuttosto aiutarli a liberarsi dal loro male. Il comandamento dell’amore è quindi un comandamento di forza e non di sottomissione.

Tutti possono amare, non solo i cristiani. È dunque possibile l’amore scambievole tra cristiani, mussulmane ed ebrei. E Nazaret è proprio la città dell’amore incarnato che porta a compimento l’atto creativo di Dio nel quale ha posto in tutti la bontà che sgorga dalla sua Bontà e l’amore che nasce dal suo Amore”.

Tutti dunque sono responsabili di questo amore vicendevole seminato nei cuori. E questo è il senso della Parola di Dio e del cammino di fede.

Un uomo forte, shietto, diretto che non ha mai avuto paura di dire la verità che poteva intuire anche di fronte ai “grandi” della storia del suo tempo i quali, proprio a motivo della sua forte personalità, in molte occasioni lo hanno insidiato e ostacolato. Un uomo di Dio che ha messo a disposizione della sua Chiesa e del suo popolo tutta la sua persona, anche la sua spiccata intelligenza. Persino la sua tesi di dottorato in lingua araba presso l’università della Sorbona a Parigi, che verteva su questioni grammaticali molto specifiche, ha portato il suo frutto nel servizio dell’insegnamento in diversi istituti.

Come dice la Scrittura, “prima della fine non chiamare nessuno beato” (Sir 11,28). In questo caso la celebrazione di Michel Sabbah ha preceduto la sua “fine” che speriamo possa avvenire il più tardi possibile. Ma, secondo le sue parole, è bene concentrarsi sul messaggio piuttosto che sul messaggero e, in tal senso, vale la pena di approfondirlo e diffonderlo.

Una domanda avrei voluto porgli: “Come far capire all’occidente la reale situazione che si sta vivendo in Medio Oriente?” Una domanda alla quale non ho ancora trovato risposta, e che spero di potergli rivolgere un giorno, personalmente.

fratel Marco jc