In questi giorni abbiamo avuto la gioia di ospitare il neoeletto vescovo di Crema, don Daniele Gianotti, prete diocesano di Reggio Emilia, teologo e docente universitario. È stato scelto da papa Francesco lo scorso 11 gennaio e sarà consacrato il 19 di marzo nella festa di san Giuseppe. È venuto a Sassovivo per il suo ritiro e per affidarsi all’intercessione di frère Charles al quale è legato spiritualmente. Non a caso la nostra rivista di spiritualità «Jesus Caritas» accoglierà nel numero 147/luglio 2017 un bel contributo del futuro vescovo dal titolo: Charles de Foucauld. Provocazioni teologiche di un itinerario spirituale. Il testo è assai significativo in quanto è stato presentato come prolusione inaugurale dell’anno accademico 2016-2017 allo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia, nel contesto del centenario della morte di frère Charles.

Daniele Gianotti, da studioso e prossimamente da pastore della Chiesa, sostiene che Charles de Foucauld a distanza di un secolo abbia illuminato la spiritualità della Chiesa universale e ormai è giunto il momento di approfondire le sue intuizioni anche in campo teologico. Oltre ovviamente alla cristologia, per il messaggio acquisito della «spiritualità di Nazaret» e la salvezza operata da Gesù già a partire dalla sua vita ordinaria nel quotidiano, il vescovo di Crema si sofferma sul campo ecclesiologico. L’esperienza di frère Charles – sostiene – potrebbe offrire elementi significativi per pensare il volto di una ECCLESIOLOGIA DELL’AMICIZIA, imperniata sul volto di una Chiesa fraterna, amica. «Mi richiamo qui volutamente a un linguaggio che ho imparato a conoscere soprattutto nell’esperienza recente della Chiesa in Algeria, esperienza che non è senza legami con quella di Charles de Foucauld, ma che i cristiani in Algeria hanno vissuto soprattutto negli anni Novanta del secolo scorso, segnando con il sangue di laici, di consacrati e consacrate, fino ai monaci trappisti di Tibhirine e a mons. Pierre Claverie, uccisi – questi ultimi – giusto vent’anni fa, rispettivamente nel maggio e nell’agosto del 1996». Il sangue di questi martiri – continua Gianotti – sigilla la testimonianza di una Chiesa che volle vivere accanto al popolo musulmano sofferente in Algeria come «accanto ad un amico», sapendo di non poter fare granché in termini di apostolato, di proselitismo, di missione… di non dovere, anzi, fare granché; eppure sapendo di poter dare testimonianza di Cristo e del vangelo attraverso questa amicizia.

Don Gianotti è anche un fine conoscitore della storia della Chiesa, è specializzato in patristica, cioè la disciplina teologica che si occupa dei Padri della Chiesa dei primi secoli… Proprio su questi temi ci siamo intrattenuti fraternamente l’ultima serata del suo ritiro, forse è più corretto dire l’abbiamo volutamente trattenuto! «Il proprium dei Padri sta nel fatto che rappresentano il primo momento significativo di risposta all’annuncio del vangelo: dunque è la prima risposta dei fedeli nel vivere il vangelo in un determinato contesto storico-culturale che cambia». Il concilio Vaticano II, notevolmente segnato dalla sensibilità dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI, ha operato una «riscoperta» dei Padri della Chiesa fino ad illuminarne l’intero rinnovamento dottrinale. I papi che si sono succeduti fino a Francesco hanno continuato su questa linea. Pensiamo quanto il tema dei primi concili ecumenici saldamente fondati sulla dottrina dei Padri sta illuminando oggi il cammino ecumenico delle Chiese che si avviano alla ricerca dell’unità perduta lungo i secoli. «D’altronde il fascino dei Padri deriva dal fatto che tenevano insieme: il ministero pastorale, la santità di vita personale e il lavoro teologico. E nel periodo del IV-V secolo bisogna tener presente che i Padri sono pressoché l’unica voce spirituale e civile in un’epoca di drammatico cambiamento politico-culturale».

La Chiesa di ieri, di oggi e di sempre

Nella tradizione cristiana si è molto parlato della Chiesa Madre, della Chiesa Sposa, della Chiesa Maestra… «Forse è venuto il tempo di pensare il volto di una Chiesa amica, e tanto più amica quanto più il mondo sembra rifiutare questa amicizia o sottrarsi da essa». In questo orizzonte sembra interessante riflettere anche sulla figura del ministero presbiterale, nella quale prendere in considerazione «l’ultimo posto». «Gesù ha scelto a tal punto l’ultimo posto che nessuno potrà mai toglierglielo»: è un’affermazione che Charles de Foucauld ha imparato dal suo direttore spirituale, l’abbé Huvelin, ma che è entrata al centro della sua esperienza. Papa Francesco, di tanto in tanto, parlando ai vescovi o anche ai preti, ha ricordato che la posizione del pastore nella Chiesa è variabile: «qualche volta gli è chiesto di essere in testa al gregge, qualche volta di essere in mezzo; a volte gli è chiesto anche di stare in fondo, in coda, all’ultimo posto». Su questo – conclude don Daniele – ci potrebbe essere qualche intuizione da sviluppare, proprio alla luce dell’esperienza di Charles de Foucauld, per una spiritualità e forse anche per una teologia del ministero ordinato.

Se le scelte di papa Francesco per quanto riguarda le nomine dei futuri pastori sono tali possiamo sostenere che la Chiesa sta già cambiando.

fratel Cruz Oswaldo jc