Sono stato molto colpito dal Vangelo della scorsa domenica. In particolare da un’espressione di Marco sulla quale mi sono soffermato parecchio anche durante l’omelia della messa all’Ospedale di Nazaret.

«Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc 1,22). Mi è parso che fosse una di quelle affermazioni che trascendono il momento in cui vengono dette e si riferiscono ad un contesto molto più ampio, più antico e più moderno, in definitiva più universale.

Sono ritornato con la memoria ad una frase detta da Dio stesso all’inizio della storia dell’umanità: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Un’altra espressione che riguarda non soltanto il primo uomo, ma ogni uomo. Un dato di fatto dunque è che l’uomo è creato per stare in relazione ed in una relazione sempre costruttiva, orientata al bene suo e dei suoi simili.

Sempre seguendo questa linea mi sono soffermato pure sull’espressione della prima lettura, dal libro del Deuteronomio, nella quale Dio prometteva: «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Dt  18,18).

Tenendo insieme tutti questi elementi mi sono accorto che la questione del “maestro” che parla con autorità è una questione di fondo, un dato umano al quale non ci si può sottrarre. L’uomo non può “farsi” da solo, e non può fare a meno di maestri che parlino con autorità. Per diventare uomini abbiamo bisogno di seguire qualcuno.

Se si guarda poi alla nostra società civile ed alla vita politica, come a quella ecclesiale, così piene di persone disorientate che si lasciano spingere «da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14) e si lasciano guidare da persone che non riescono ad apprezzare persino i valori più elementari dell’uomo, ci si rende conto di quanto sia sempre attuale ed urgente la necessità di seguire validi maestri. Anche chi dichiara di non volerne, di fatto li segue: spesso essi sono quei “falsi profeti” che conducono ad una progressiva decostruzione dell’uomo, siano essi politici, filosofi, teologi, intellettuali, cantanti, calciatori, addirittura uomini di religione o forse anche solo sé stessi.

In questo quadro l’urgenza del Maestro si affaccia con prepotenza all’orizzonte della nostra vita. Lui è l’unico che ha «parole di vita eterna» e che può indicare la strada autentica verso la pienezza della vita. Tra l’altro il titolo “Maestro” è tra i più utilizzati nel Vangelo per rivolgersi alla persona di Gesù.

È necessario dunque tenere insieme questi due dati fondamentali: abbiamo bisogno di maestri; essi però saranno tali nella misura in cui hanno chiaro che in definitiva esiste un unico e vero Maestro, che li trascende, e che per noi credenti porta il nome di Signore Gesù.

E l’attività principale di questa nostra guida è stata la liberazione dell’uomo dal male, al quale Gesù stesso intima con autorità: «Esci da quell’uomo!». In questo senso abbiamo un criterio di valutazione dei maestri attorno a noi: se siano in grado di produrre, con le loro parole e con i loro gesti, una progressiva liberazione dell’umanità dal male. In caso contrario è chiaro che si tratta di falsi maestri, profeti che non hanno alcuna autorità, pastori che pascono sé stessi.

Diceva Paolo Vi nella Evangelii Nuntiandi, n. 41, che «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri». Rimane vero e non mi permetto di “correggere” questa autentica guida che davvero parlava con autorità. Potremmo però dire, con lui, che se poi i tanti maestri parlassero con l’autorità di una viva ed evangelica testimonianza, si ascolterebbero ancor più volentieri.

fratel Marco jc