Tra i numerosi doni che il Signore mi spedisce -in questo periodo di noviziato- c’è quello di un gruppo di adolescenti provenienti da una parrocchia di Roma e che, guidati dal loro viceparroco approfittano delle vacanze di Natale per visitare alcuni luoghi di spiritualità della splendida Umbria, compresa la nostra abbazia di Sassovivo.

Il titolo della loro tre giorni di pellegrinaggio è “Ora et Labora” ed il giorno precedente hanno incontrato le clarisse di S. Chiara in Assisi per approfondire la tematica dell’Ora (preghiera).

Vengono ad incontrarci per visitare l’abbazia e per affrontare la questione del “Labora” nei monaci di ieri ed in quelli di oggi; naturalmente mi viene riferito che i ragazzi sono svogliati e non si impegnano né a scuola né a casa, figuriamoci in parrocchia! Quindi l’idea è quella di punzecchiarli sul valore e l’importanza dell’impegno (mi guardo indietro e penso a quante volte anch’io ho abilmente schivato, stile Alberto Tomba negli slalom speciali, le richieste dei miei genitori, guardo all’oggi e mi vedo in difficoltà con un trapano in mano, provo un po’ di imbarazzo!).

Abbozziamo così una chiacchierata informale su questo tema e potremmo anche dirci che l’incontro è “andato molto bene”… ammetto, però, di aver provato un certo disagio a parlare di lavoro: eh sì perché il lavoro non si “dice”, non si racconta, ma si “fa”, si prova!

Penso che le testimonianze orali siano molto importanti, soprattutto per i ragazzi e per noi giovani,  ma credo anche che sia difficile far passare un messaggio a parole senza mostrarlo nella vita quotidiana, nelle piccole cose, e provo allora a darmi una risposta al versetto del Vangelo che ci chiede di gridare il lieto messaggio dai tetti delle nostre città: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”(Mt 10,27).

La fantasia mi porta allora a pensare che per gridare il messaggio del nostro Signore Gesù dall’alto sarebbe opportuno prima munirsi di chiodi, martello e compagni di lavoro (da soli è più facile distrarsi ed i tetti sono scivolosi), sondare i terrazzi, verificarne la stabilità, pulir le grondaie, sostituire le tegole rotte: faticoso? Forse; può anche darsi che per la stanchezza alla fine dell’opera non resti nemmeno più la voce per proclamare il Vangelo!…ma i passanti, il Signore lo sa, potrebbero aver incontrato il Suo Amore senza parole, nella buona volontà di questi operai edili e così attraverso le piccole e ordinarie azioni Dio potrebbe aver parlato con il megafono dei fatti.

Frere Charles scriveva che occorre “Gridare il Vangelo con la vita”, scoperta: si può gridare anche in silenzio!

E allora quale miglior augurio possiamo farci per l’anno che viene, se non l’orazione della recente festa dei piccoli innocenti martiri di Betlemme:

Signore nostro Dio, che nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra!

Giovanni Marco